La prima manovra di bilancio del neo governo Meloni – del valore di 37 miliardi – può preoccupare, ma non stupire. È il ritratto speculare di una compagine politica in formato “governo Robin Hood al contrario”: toglie ai poveri per dare ai ricchi. Basti pensare alla flat tax del 15% per gli autonomi fino a 85mila euro di reddito (quando quella cifra per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti comporta trattenute fiscali non inferiori al 35%); alle cosiddette tregue fiscali (un invito a continuare ad evadere, tanto prima o poi un condono, comunque lo si chiami, arriverà); e all’innalzamento della soglia del contante a 60 euro (per ridurre la quantità di pagamenti tracciati eseguiti con dispositivi elettronici). C’è il problema, per gli esercenti che dispongono di Pos, delle commissioni bancarie? Il governo lavori per fare abbassare quelle, anziché strizzare l’occhio a evasori ed elusori.

Infine, mazzata finale su chi è in difficoltà, dal 2024 verrà abolito il reddito di cittadinanza, senza avere indicato minimamente come si intenda sostituire quella misura. Perché si può criticare il meccanismo del reddito di cittadinanza e riformarlo per evitare gli abusi, peraltro isolati, che ci sono stati. Ma invece di attaccare i “divanisti” si devono mettere in campo politiche attive del lavoro, anche premiando fiscalmente chi assume.

L’unica cosa che non si può fare, in un Paese con tanti poveri come il nostro, è abbandonare alla sua disperazione chi non ce la fa. Le famiglie povere, nel nostro Paese che pure fa parte dell’élite delle superpotenze del G7, continuano ad aumentare. Denuncia la Caritas: sono quasi due milioni quelle che oggi risultano in stato di povertà assoluta, contro le 800mila nel 2006. A queste si aggiungono quelle a rischio povertà ed esclusione: lo Svimez – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – calcola che si trova in questa fascia sociale il 25,4%, ossia un quarto della popolazione residente in Italia (quasi 15 milioni di persone), a fronte della media europea che si colloca intorno ad un quinto.

Da considerare che dietro al dato nazionale di un quarto di persone in difficoltà a far quadrare i conti si nascondono enormi squilibri tra la quota molto maggiore nel Mezzogiorno (41,2%, pari ad 8,2 milioni di persone) e quella decisamente minore nel Centro-Nord (17,4%, circa 6,8 milioni). Non a caso negli ultimi 15 anni il numero delle persone in povertà assoluta nel Mezzogiorno è più che triplicato.

Di fronte a questi dati ci si aspetterebbe che il governo Meloni – che oltretutto sbandiera i valori cristiani come un elemento fondante della propria visione della mondo – metta la lotta alla povertà in cima all’agenda politica. Niente affatto: sta andando in direzione opposta cercando di salvarsi la coscienza con l’elemosina di un po’ di bonus, che nulla però hanno a che fare con misure strutturate. Ed è proprio di queste che invece c’è bisogno.

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