Il Canada è matematicamente fuori dai Mondiali in Qatar dopo le due sconfitte contro Belgio e Croazia nelle prime due partite del gruppo F. Il ct John Herdman è stato preso di mira per le sue parole prima della seconda gara: “Adesso andremo a fot***ci la Croazia”. Una frase estrapolata dal contesto – il tentativo di caricare la sua squadra dopo la sconfitta immeritata contro il Belgio – che è stato oggetto anche di una prima pagina del giornale croato Sata 24 (vedi foto). Herdman è stato ingiustamente criticato prima e preso in giro dopo la partita. Ecco qual è la sua storia.

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Quando nel 2018 John Herdman disse ai suoi giocatori che l’obiettivo del Canada era qualificarsi ai Mondiali in Qatar, pochi lo presero sul serio. Lui mise un dvd con la partita tra Canada e Honduras del 1985, decisa da un gol di Igor Vrablic che regalò ai canadesi la loro prima e, a quel momento, unica qualificazione alla fase finale di una coppa del mondo, perché a suo dire quelle immagini avrebbero dovuto ispirare e motivare i giocatori. Ogni ostacolo è un’opportunità, era il concetto alla base. Herdman lo conosceva bene, dal momento che nella sua insolita traiettoria da allenatore, sviluppatasi lungo quattro continenti, gli ostacoli sono sempre stati all’ordine del giorno.

Herdman ha dichiarato di detestare i confini. Quelli invisibili, mentali, spesso più difficili da valicare rispetto a quelli fisici. E’ cresciuto nel nord dell’Inghilterra, in un piccolo paese di provincia chiamato Consett, contea di Dunham, non lontano da Newcastle. La sua era una famiglia complicata, con il padre affetto da problemi psichiatrici, tanto che all’età di 16 anni Herdman andò a vivere in una casa sociale. Lì ha sviluppato una passione per il calcio, soprattutto per l’insegnamento legato a questo sport. Raccolti i fondi sufficienti, è partito in Brasile con un unico obiettivo: studiare calcio nel paese del calcio. Una volta tornato in Inghilterra, Herdman ha aperto una scuola calcio brasiliana non lontana da Sunderland, che in breve tempo ha attirato le attenzioni di diversi club di Premier League, in primis proprio i Black Cats, per le metodologie di insegnamento e la qualità della proposta. Herdman faceva la spola tra il suo centro di formazione, le giovanili del Sunderland e l’Università di Northumbria, dove lavorava come assistente alla facoltà di Scienze Motorie. Oggigiorno la multidisciplinarietà è di casa nel mondo dal calcio e uno con il profilo di Herdman sarebbe ricercatissimo, ma all’epoca esistevano ancora steccati mentali impossibili da superare. “Non potrai mai allenare in Premier”, gli disse un giocatore del Sunderland di cui Herdman non ha mai voluto fare il nome, “anche se tutti sanno che sei un ottimo insegnante e un allenatore altrettanto bravo. Ma non hai l’esperienza del campo, quindi non sarai mai pronto a gestire una squadra davanti a 60mila spettatori”.

Frustrato da un ambiente dove solo gli ex professionisti venivano presi in considerazione, Herdman decise di seguire il proprio mentore universitario, Paul Patrac, e andare in Nuova Zelanda per insegnare nel campus di Otago. Da lì è diventato direttore tecnico regionale, continuando a scalare le gerarchie fino a ottenere l’incarico di c.t. della nazionale femminile della Nuova Zelanda. Soprattutto, si è confrontato con l’approccio sportivo multidisciplinare del paese, testando e sperimentando anche i propri metodi motivazionali, arrivando anche a collaborare con il mental coach degli All Blacks di rugby. Dopo due Mondiali e un’Olimpiade con le neozelandesi, a Herdman fu offerta la panchina della nazionale femminile canadese, uscita con le ossa rotte (zero punti in tre partite) dal Mondiale tedesco. L’edizione successiva del torneo era prevista proprio in Canada, e la Federazione stava cercando una persona con le idee e le capacità necessarie per allestire una squadra competitiva. Herdman si presentò con una gigantografia di Christine Sinclair, capitana della selezione femminile, in lacrime dopo l’ultimo Mondiale. Il simbolo dell’ostacolo da superare per non cadere di nuovo nella vergogna. Sotto la sua gestione il Canada ha vinto due bronzi olimpici (Londra 2012, Rio 2016) ed è arrivato ai quarti di finale nel Mondiale casalingo, mostrando organizzazione, qualità tattica e grande spirito di squadra.

Nel 2021 Beverly Priestman, assistente di Herdman sulla panchina della nazionale femminile, ha condotto le canadesi alla medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo. Il suo maestro nel frattempo aveva generato una turbolenza all’interno del mondo calcistico del paese passando, nel 2018, dalla nazionale femminile a quella maschile, per una mossa che aveva attirato molte critiche, in primis proprio quelle dell’icona Sinclair. Herdman era però era proiettato verso una nuova sfida: ricostruire un altro movimento, fermo ormai da trent’anni nei bassifondi del calcio continentale. Quando assunse la guida del Canada, la nazionale gravitava attorno all’80esima posizione del ranking Fifa. Al suo match di esordio, nel marzo 2018 alla Pinatar Arena di Murcia contro la Nuova Zelanda, c’erano 70 spettatori sugli spalti. In quattro anni Herdman è riuscito a ripetere quanto fatto con la nazionale femminile, costruendo una squadra di buon livello tattico, solida e dotata di un forte spirito di squadra. Oltre ai filmati motivazionali che, risultati alla mano, si sono rivelati efficaci, si sono visti metodo, preparazione e idee. Nell’autunno 2019 il Canada ha battuto nella Gold Cup gli Stati Uniti per la prima volta in quarant’anni, poi ha vinto il girone CONCACAF di qualificazione ai Mondiali. Ogni volta un ostacolo più grande, ogni volta una sfida per superare sé stessi. I giocatori raccontano che spesso, nell’analisi post-partita, Herdman non si sofferma sugli errori nei movimenti o su una circolazione di palla mal organizzata, ma punta sugli elementi positivi, ovvero azioni e situazioni nelle quali i giocatori hanno mostrato compattezza o coraggio. I momenti nei quali la squadra ha giocato da squadra. Come hanno scritto in Canada, ognuno ha i propri supereroi: Batman, Spiderman, Superman. Loro hanno Herdman.

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