Il governo Meloni annuncia tagli e manovre; non è una novità, tutti i governi lo hanno fatto e lo fanno, ma ci si chiede come mai l’Italia abbia costante bisogno di misure drastiche. Il fatto è che, sebbene l’Italia si classifichi tra i paesi più ricchi del mondo, è povera rispetto ai suoi vicini europei: basta guardare, ad esempio, l’enorme debito pubblico o il livello delle retribuzioni. Evidentemente l’Italia soffre di problemi strutturali in misura maggiore dei suoi vicini, problemi che la politica analizza malvolentieri, perché dannosi ai fini della costruzione del consenso.

Uno dei problemi cruciali del paese è il basso tasso di impiego della popolazione in età di lavoro: in Italia nella fascia di età 15-64 anni il tasso di occupazione è del 59%, a fronte di una media europea del 68% con punte superiori al 75% nei paesi cosiddetti frugali come Germania o Olanda. La ricchezza di una democrazia moderna sta soprattutto nel lavoro dei suoi cittadini, e in questo senso l’Italia è povera: una delle priorità del paese è una sana politica del lavoro.

Certamente esiste in Italia una quota di lavoro nero superiore a quella dei paesi frugali: il tasso di impiego reale è più alto di quello ufficiale. Ma il lavoro nero non paga tasse e contributi che rappresentano la maggiore fonte di introiti per lo Stato, e pertanto lo Stato italiano è povero anche rispetto alla disponibilità economica complessiva dei suoi cittadini.

Contrariamente a molti luoghi comuni, l’Italia non ha percentuali di pensionati o di pubblici dipendenti in rapporto alla popolazione superiori a quelle medie europee, anzi tendenzialmente presenta valori relativamente bassi, che però diventano molto alti se misurati in rapporto al numero di lavoratori. Poiché le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici per lo Stato sono costi, che vengono pagati grazie agli introiti fiscali, l’elevato rapporto di pensionati e dipendenti pubblici rispetto al totale dei lavoratori comporta di necessità che stipendi e pensioni siano relativamente bassi, mentre l’imposizione fiscale è elevata. Inoltre l’elevata pressione fiscale incide direttamente sui salari anche dei dipendenti privati.

Ovviamente il problema di incrementare l’inserimento lavorativo della popolazione non è semplice da risolvere, né dipende direttamente dallo Stato: aumentare i dipendenti pubblici aggraverebbe il problema. Quello che serve è lavoro produttivo di ricchezza, che in un paese nel quale l’imprenditoria è libera (cioè in un paese diverso dalla vecchia Unione Sovietica), richiede politiche che favoriscano anche l’imprenditore, quelle che molta propaganda politica presenta come favorevoli ai ricchi, alle banche, etc. Purtroppo il lavoro e la ricchezza non possono crescere senza il contributo dell’imprenditoria: tutti gli elettori minimamente di sinistra vorrebbero una maggiore presenza dello Stato nelle attività produttive, ma c’è un limite a quanto questa sia funzionale.

Già avere uno Stato che sia arbitro e garante dei lavoratori sarebbe un eccellente obiettivo. Ed è importante ricordare che almeno alcuni diritti costano e che lo Stato può garantirli soltanto attraverso l’imposizione fiscale: in uno Stato povero anche sanità, scuola e giustizia soffrono, anche se i cittadini hanno disponibilità economica (in nero).

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