Nel 2023 spenderemo 700 milioni di euro per mandare in pensione prima 48mila persone, circa un quinto dei lavoratori che ogni anno accedono alla previdenza. È il succo della riforma delle pensioni “quota 103” che sarà inserita nella legge di Bilancio. La norma prevede che si possa lasciare il lavoro con 41 anni di contributi versati ma solo se si sono raggiunti i 62 anni di età. La somma tra i due parametri è appunto 103 e sostituisce “quota 102” (38 anni di contributi e 64 anni di età), introdotta dal governo Draghi e in scadenza a fine anno. In mancanza di un intervento dal prossimi gennaio sarebbe stata ripristinata la legge Fornero. Quota 103 si applicherà solo nel 2023 in attesa di una riforma che nelle intenzioni del governo, e conti pubblici permettendo, dovrebbe gradualmente portare alla soluzione basata unicamente sui 41 anni di contributi, togliendo il parametro dell’età anagrafica. Viene rinnovato il bonus del 10% sullo stipendio per chi sceglie di continuare a lavorare pur avendo raggiunto i requisiti per accedere alla pensione.

La manovra in materia pensionistica interviene “sullo scalone pensionistico che sarebbe scattato dal 1 gennaio, senza un intervento dal 1 gennaio sarebbe scattata la pensione a 67 anni“: si potrà andare in pensione “a 62 anni con 41 di contributi, ma con dei paletti di buon senso. Chi decide di entrare in questa finestra, fino a maturazione dei requisiti non potrà prendere una pensione superiore a 5 volte la minima (570 euro lordi al mese, ndr), quindi tra i 62 e i 67 anni, fino a maturazione dei requisiti”, ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “La scelta di rendere le misure sulle pensioni transitorie per il 2023 va vista nell’ottica di una riforma strutturale che nel 2023 deve essere studiata, varata e ragionata”, ha aggiunto la ministra del Lavoro, Marina Calderone.

Si conferma il taglio delle rivalutazioni per le pensioni più alte, ossia a partire dai 2.100 euro lordi al mese ossia 1.670 euro netti. L’adeguamento all’inflazione fissato al 7,3%, sarà ridotto in misura via via più significativa. Sopra i 5mila euro lordi l’indicizzazione sarà pari al 35% dell’ iniziale 7,3%, quindi solo del 2,5% dell’importo. Viceversa per le minime l’adeguamento sale al 120%, ossia non più del 7,3% ma dell’ 8,7%, valore comunque al di sotto dell’attuale livello del carovita (11,9%). Significa circa 45 euro in più al mese per assegni che passeranno quindi da 523 a 570 euro circa. In ogni caso le rivalutazioni sono inferiori all’attuale livello di inflazione, prospettando, se il carovita non dovesse calare, una perdita del potere di acquisto degli assegni previdenziali.

Cambia anche “Opzione donna”, l’anticipo della pensione per le lavoratrici con almeno 35 anni di contributi, che in manovra sarà prorogato di un anno ma sarà anche legato al numero di figli. Potranno uscire a 58 anni le lavoratrici con due o più figli, a 59 chi ha un figlio e a 60 chi non ne ha.

“Per quanto riguarda la scelta sociale, abbiamo forse tagliato sulla spesa previdenziale ma abbiamo investito sulla spesa previdente: cioè sui figli, su coloro che domani potranno mantenere tutti i pensionati e la spesa pensionistica. Perché la più grande riforma delle pensioni è quella che premia la natalità, altrimenti non ce n’è per nessuno”, ha affermato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nel corso della conferenza stampa di presentazione della manovra.

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