E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 26 ottobre una sentenza della Corte costituzionale che merita un approfondimento. Con ricorso iscritto al n. 5 del reg. ric. 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 2, della legge Regione Umbria 15/2021, in quanto questa avrebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettere h) e g), della Costituzione. La disposizione regionale impugnata sostituisce il testo dell’art. 39, comma 1, lettera b), della legge della Regione Umbria, 23 del 2003, che stabilisce una delle cause di decadenza dall’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale sociale.

Il testo della Regione Umbria dispone la decadenza nell’ipotesi in cui l’assegnatario, ovvero “altro componente il nucleo familiare” (estensione soggettiva introdotta dalla legge reg. Umbria n. 15 del 2021, ma non impugnata dall’Avvocatura di Stato), “abbia usato o abbia consentito a terzi di utilizzare l’alloggio, le sue pertinenze o le parti comuni, per attività illecite che risultino da provvedimenti giudiziari, della pubblica sicurezza o della polizia locale”. A giudizio dell’Avvocatura di Stato, la nuova previsione regionale comportava “una indebita ingerenza nella materia ordine pubblico e sicurezza, che l’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione rimette alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Sarebbe, inoltre, violato l’ulteriore titolo di competenza statale esclusiva, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g”.

La Corte costituzionale ha affermato che le censure dell’Avvocatura di Stato sono state mosse da un errato presupposto interpretativo, ovvero che con la disposizione impugnata il legislatore regionale abbia inteso introdurre un obbligo di comunicazione in capo alle forze di polizia dello Stato, chiamate a informare le autorità locali. La Corte costituzionale ha precisato che secondo la giurisprudenza la mera acquisizione di elementi informativi non determina di per sé lesione di attribuzioni, dovendosi ritenere, conforme al principio di leale collaborazione.

A mio modestissimo parere l’Avvocatura di Stato ha fatto un evidente errore nel basare la censura costituzionale all’articolo 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, e la Corte Costituzionale l’ha giustamente rigettata.

La questione andava, a mio parere, affrontata dall’Avvocatura, eccependo la violazione degli articoli 27, 2 e 3 della Costituzione. All’assegnazione di una casa popolare concorre tutto il nucleo famigliare, ovvero anche i minori. La regione Umbria prevede che l’assegnatario e il suo nucleo famigliare decadano e debbano essere estromessi dalla casa popolare qualora la stessa sia stata utilizzata per attività illecite, segnalate da provvedimenti giudiziari non da sentenza definitiva. In questo modo si rende l’intero nucleo famigliare responsabile, come se la responsabilità penale derivante da provvedimenti giudiziari o da sentenza definitiva non sia avvenuta a carico del singolo componente oggetto dei provvedimenti, ma in capo a tutto il nucleo famigliare – compresi i minori o altri componenti che non sono stati né oggetto di provvedimenti giudiziari, né condannati.

Di fatto siamo di fronte ad una aperta violazione dell’articolo 27 della Costituzione, che – recita – si è colpevoli solo a giudizio definitivo. Viene così condannata all’esclusione abitativa e dal diritto all’alloggio l’intero nucleo famigliare nel quale anche solo un componente abbia usato l’alloggio pubblico per attività illecite che risultino da provvedimenti giudiziari, della pubblica sicurezza o della polizia locale.

Secondo la maggioranza della dottrina, il termine “provvedimenti giudiziari” individuerebbe solo gli atti che hanno funzione decisoria e, pertanto, sarebbero dei provvedimenti solo in senso lato, gli atti che, malgrado siano resi dall’autorità giudiziaria, sono ordinatori del processo e non decisori. Anche la violazione dell’articolo 3 della Costituzione doveva apparire evidente all’Avvocatura dello Stato, perché l’esclusione dall’assegnazione del nucleo famigliare incolpevole è con tutta evidenza un atto che fa perdere la pari dignità a tutto il nucleo famigliare. L’Avvocatura di Stato avrebbe dovuto individuare con maggiore precisione gli articoli della Costituzione violati dalla norma della regione Umbria. Ora però, e in generale, la norma della Regione Umbria apre la strada ad una offensiva legalitaria che si può tramutare in esclusione sociale per migliaia di famiglie.

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