Sono 263 i migranti sbarcati stamattina a Roccella Jonica, soccorsi dalle motovedette della Guardia costiera a 50 miglia dalle coste calabresi. Altri 148 sono arrivati ieri a Messina dopo un’operazione SAR (search and rescue, ndr) della Guardia di finanza. Dopo lo scontro tra Roma e Parigi per lo sbarco di 231 persone della Ocean Viking a Tolone e la conseguente decisione dell’Eliseo di non onorare l’accordo sulla redistribuzione volontaria dei migranti, tutti attendono che a battere un colpo sia L’Europa, dove sarebbe previsto un incontro tra ministri dell’Interno entro fine mese. Nel frattempo, visto che la prima prova della direttiva interministeriale sugli sbarchi selettivi si è conclusa con lo sbarco di tutti i migranti per decisione delle autorità sanitarie, la maggioranza di governo batte altre strade e anticipa i prossimi provvedimenti come le richieste da presentare a Bruxelles, a partire da quella che coinvolge i paesi di origine di chi si mette in viaggio.

Per adesso l’Europa tace o quasi. La portavoce della Commissione Anita Hipper ha ribadito che sarà convocata una riunione straordinaria dei ministri dell’Interno su un “piano d’azione” per le migrazioni, e che il meccanismo di redistribuzione, che ad oggi ha ricollocato appena 117 persone sbarcate in Italia, ha in realtà raccolto la disponibilità per 8.000 ricollocamenti da parte di 13 diversi Paesi. Ma ha anche ribadito che per la Commissione “non c’è differenza tra le navi delle Ong o le altre navi: il soccorso in mare è un obbligo chiaro e inequivocabile”. E che il salvataggio di vite non prevede differenze tra le “circostanze” in cui si verifica il soccorso. Nessun commento, per ora, sulla dichiarazione congiunta di Italia, Grecia, Malta e Cipro sui migranti rivolta all’Unione europea. Anche perché all’iniziativa dei paesi del Sud questa volta la Spagna non ha voluto partecipare: “Madrid non può sostenere proposte che premierebbero i Paesi che non rispettano i loro obblighi in termini di diritto marittimo internazionale”.

Anche Berlino ha preso le distanze da Roma, con l’ambasciatore in Italia Viktor Ebling che alle Ong ha riconosciuto di salvare vite “laddove l’aiuto da parte degli Stati manca, un impegno che merita la nostra riconoscenza e il nostro appoggio”. Insomma, prima ancora di capire le intenzioni a Bruxelles va capito se il braccio di ferro con Parigi porterà a un nuovo confronto sull’immigrazione nel Mediterraneo o piuttosto isolerà il nostro governo. La cui maggioranza, intanto, anticipa le prossime mosse. A partire da quanto intende proporre ai partner europei, che dovranno mettere mano al portafoglio per rilanciare la collaborazione con i paesi di origine, ovvero accordi anche economici con paesi come Tunisia, Marocco, Niger, Nigeria, altri Stati del Sahel, ma anche con la stessa Libia, dove si vogliono far giungere maggiori stanziamenti per il controllo delle frontiere interne, oltre a quelle marittime. Un “piano Marshall per l’Africa”, ha più volte ribadito ministro degli Affari esteri e vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani. Più banalmente, soldi in cambio di partenze ridotte, possibilmente a zero. Secondo quando riportato dal Corriere, un’ipotesi potrebbe essere quella di utilizzare il Team Europe, il progetto europeo avviato durante la pandemia per intervenire sulle emergenze nel quale l’Italia vuole coinvolti anche i paesi africani perché il 10 per cento dei fondi già allocati possa andare direttamente a loro.

Inoltre, resta sul tavolo il ripristino della missione Sophia nella parte che la premier riassume col “blocco navale” e, ovviamente, una stretta sull’attività delle Ong che operano nel Mediterraneo centrale, quelle che il ministro della Difesa Crosetto ha appena definito “centri sociali galleggianti” e che, dice ancora Tajani, “devono salvare vite, non fare i taxi”. Nonostante gli stessi dati del Viminale riferiscano che poco più del 10 per cento dei migranti sbarca da una nave umanitaria, il governo rimane fermo sulla necessità di regolare in modo più stringente l’attività di queste imbarcazioni private. Dopo gli episodi di Catania conclusi con lo sbarco di tutti i migranti per decisione delle autorità sanitarie, la direttiva interministeriale che ha introdotto gli “sbarchi selettivi” verrà valutata dalla magistratura amministrativa alla quale si è rivolta una delle Ong che si è opposta al decreto che le imponeva di riperdere il mare con quelle che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha definito “carico residuale”.

In attesa del verdetto e chissà, di vedere se l’Europa intende firmare un codice di condotta per le organizzazioni umanitarie, lo stesso Viminale pensa a un regolamento da far sottoscrivere alle Ong che vogliono entrare in acque italiane, la cui violazione comporti immediate sanzioni amministrative che possono arrivare fino al sequestro della nave. Inoltre, è un’altra delle ipotesi anticipata il Corsera, le navi dovranno intervenire solo quando esiste un effettivo pericolo per i migranti e anche quando si effettua un soccorso si dovrà chiamare le autorità del Paese più vicino e comunicare il tipo di intervento che è stato effettuato. Cose che, almeno negli episodi vagliati dalla magistratura italiana, già avvengono, imposte dalla normativa internazionale che a quanto pare le Ong hanno sempre rispettato, anche quando farlo comportava violare le disposizioni del governo italiano, come quelle del primo governo Conte volute da Matteo Salvini e violate di Carola Rackete, la comandante della Sea Watch che decise di forzare il divieto di entrare in acque italiane e di attraccare in porto per far sbarcare tutti.

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