di Giuseppe Castro

In un mondo in cui la gestione del potere e la rendita di posizione sembrano l’unico scopo di una carriera politica, Matteo Renzi rappresenta al meglio l’individualismo e il cinismo tipico di questo primo scorcio di XXI secolo. Molti lo disprezzano, alcuni lo ammirano, troppi lo invidiano.

Capace di fiutare i vuoti nei sistemi di potere dei partiti per poi riempirli e di creare egli stesso le condizioni politiche più adeguate a renderlo indispensabile, Renzi svolge la sua attività politica rappresentando al meglio il peggio della politica italiana. Non vi è etica nel suo agire; egli insegue la sua preda utilizzando al meglio tutti gli strumenti che ha a disposizione. La sua preda può essere un partito, una classe di elettori, una posizione politica, singole persone utili a raggiungere un determinato obiettivo. Tutte le prede saranno poi abbandonate al loro destino quando la loro utilità verrà meno.

In un dibattito pubblico è difficile essere in dissenso con lui. Le sue proposte politiche sono generalmente ragionevoli, salvo il fatto che all’atto pratico farà poi quello che più gli conviene. La gente che lo conosce lo sa e non lo vota, così che oramai è votato solo da chi non lo conosce ancora: i giovani. La sua storia politica è un crescendo esemplare di cinismo e fiuto politico.

Ha scalato il Pd nel momento in cui la dirigenza si convinse, ahinoi, della necessità di uno “showman” che contrastasse Berlusconi da sinistra. La famosa carica dei 101 contro Prodi nel 2013 gli ha permesso di sostituire Bersani alla segretario del Pd.

Conquistata la presidenza del consiglio nel 2014 poche settimane dopo il famoso “Enrico stai sereno” e utilizzato il potere così ottenuto per rafforzare e allargare la sua rete di amicizie, il nostro si è poi dovuto scontrare con un evidente declino della sua popolarità. Rassegnatosi all’impossibilità di gestire un grande partito, complice il rischio di implosione dello stesso, cambia strategia.

Durante la legislatura 2018/2022, con indubbia lungimiranza, Renzi riesce prima a gettare i 5S tra le braccia di Salvini (indebolendoli), per poi riabbracciarli del 2019 al solo apparente fine di ricattare politicamente il governo con la sua nuova creatura, Italia Viva. Fatto cadere il Conte II, il nostro si rende fautore della creazione del governo Draghi, entro il quale mantiene un’enorme visibilità.

Nel 2022, senza più una base elettorale e con in mano solo il simbolo del suo partito, Renzi inventa un’alleanza politica con Carlo Calenda che lo ritrasporta serenamente in parlamento con tutti i fedelissimi: massimo risultato, minimo sforzo. La sua presenza in assemblea si è già fatta notare con il probabile sostegno all’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, nel sottofondo di un verosimile do ut des che lo avrebbe potuto portare ai servizi segreti, suo vecchio pallino. Naturalmente ci si augura di continuare a vederlo lontano dai servizi: come una volpe nel pollaio, il controllo degli apparati di sicurezza gli avrebbe dato degli strumenti di potere che un personaggio tale è meglio non abbia mai.

Naturalmente in tutto questo il bene e l’interesse pubblico rimangono rumori di fondo, perseguiti solo quando coincidono casualmente con l’interesse personale. Nell’evidenza che una classe dirigente composta da persone come Renzi non renda nulla di concreto alla comunità, bisognerebbe allora chiedersi perché la nostra società continui a selezionarle con estrema cura.

Se si distoglie lo sguardo dalla politica, infatti, si può osservare un mondo pieno di “simil-Renzi”, personaggi individualisti pronti a sacrificare tutto e tutti per ottenere i propri scopi. Saranno la nostra futura classe dirigente, frutto malato di un’ideologia, oggi dominante, che misura il valore di una persona esclusivamente sul piano del successo individuale indipendentemente da come questo sia stato ottenuto. Renzi ne è solo il rappresentante più emblematico.

Passerà la nottata, ma nel frattempo ci saremo fatti molto male.

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