La colpa pare sia stata tutta di suo padre Pietro. Perché il travaso di passione si completa magicamente nel pomeriggio del 14 gennaio 2003. L’uomo chiama il figlio e gli chiede di uscire un attimo fuori da casa. È il suo sesto compleanno e c’è un regalo che lo aspetta in giardino. Quando Francesco Bagnaia apre gli occhi sente il fiato che gli si strozza nella gola. Davanti a lui c’è una minicross. Con la vernice ancora immacolata. Con le ruote pronte a mordere il terreno. È il sogno di ogni bambino. Ma soprattutto di ogni genitore. Perché non c’è niente di più confortante che trasferire i propri sogni alla progenie. Il ragazzino sale in sella e apre il gas. In breve scopre di non avere paura. Così inizia a ripetere quel rito tutti i pomeriggi dopo la scuola. Giorno dopo giorno dopo giorno. Sotto il vento gelido dell’inverno, sotto il sole bollente dell’estete. Gira lungo il perimetro del giardino della sua casa di Chivasso, ma sogna spalti gremiti, sorpassi brucianti, trofei da alzare al cielo. Per mettere a fuoco i contorni del suo sogno gli basta qualche mese. I salti con la moto lo annoiano, meglio la velocità, meglio l’asfalto liscio come un tappeto. Un anno dopo padre e zio lo accontentano. Addio minicross, benvenuta minimoto. È l’incipit di una storia da romanzo che oggi si è fatta finalmente mito con la vittoria di un titolo della MotoGP che l’Italia rincorreva ormai da tredici anni.

“I figli sono come frecce in mano a un guerriero”, recita un salmo. E non c’è immagine migliore per spiegare l’importanza che la famiglia riveste nella parabola di Bagnaia. È un nucleo che riscrive la geografia dello sport italiano. Le moto sono un’entità che appartiene ad altre latitudini, all’Emilia Romagna raccontata da Giovannino Guareschi. O alle Marche. Non certo a Torino. Per correre Francesco, che la sorella chiama Pecco, è costretto a spostarsi. Da Chiavasso su verso Viverone. Oppure giù fino ad Alessandria. Ore in auto che diventano uno strumento di aggregazione. La strada fa da collante, i chilometri accorciano le distanze. Il padre e gli zii di Francesco arrivavano fino in Francia pur di gareggiare. Ma nel 2008 decidono di esagerare e preparano la prima trasferta motociclistica. Si va in Danimarca. In camper. Fanno sedici ore di viaggio solo per respirare l’odore del carburante, per sentire quel brivido sfrecciare lungo la schiena. Un anno prima Pecco ha vinto la sua prima gara di velocità con le mini moto. Ha solo undici anni, ma la sua fame è già smisurata.

A scuola non va altrettanto bene. Arrivano i tre. E anche qualche due. In molti gli ripetono la stessa identica frase. Forse è meglio lasciar perdere, dimenticarsi delle moto. “Me lo dicevano a scuola gli insegnanti, me lo diceva qualche team, lo scriveva qualche giornalista e me lo ha detto il medico qui a Torino perché da piccolo soffrivo di asma“, ha raccontato Pecco qualche anno fa al Corriere della Sera. L’addio alle corse metterebbe tutti d’accordo. Tutti tranne Bagnaia. Lui decide di tirare dritto, di piegarsi ancora di più in curva. Anche se la sua corsa sembra essere sempre controvento. Il fiato diventa un elemento fondamentale. Poco a poco Bagnaia impara a respirare, ma in senso più figurato che letterario. Vuol dire pensare, calmarsi, trovare serenità, far tesoro degli errori senza doverli necessariamente trasformare in dramma. E la cosa funziona anche. La gavetta sembra infinita. Anche per un ragazzino cresciuto con il mito di Noriyuki Haga e Valentino Rossi. Si parte con le Minimoto e le MiniGP. Fino al titolo europeo del 2009. Poi arriva il CEV, il campionato spagnolo di velocità e finalmente, nel 2013, ecco la Moto3. Il primo anno è una passeggiata nell’anonimato. Zero punti, cinque ritiri, un sedicesimo posto in Malesia come momento più alto della stagione. Pecco sembra Wile E. Coyote in una pista piena di Beep Beep. È sempre sul punto di superarli, ma in verità non riesce a prenderli mai. I dubbi iniziano a sbriciolare le certezze. Poi qualcosa cambia all’improvviso.

Un anno più tardi nasce lo Sky Racing Team VR 46. Non è una scuderia. È un’incubatrice di talento. I ragazzi più promettenti possono imparare direttamente da Valentino, girare nel suo ranch, provare a ragionare come lui, rubare i suoi segreti con lo sguardo. Addirittura c’è anche un inno ufficiale del Team scritto da Cesare Cremonini. È un lusso che serve a creare un gruppo, un nuovo senso di appartenenza. Ma è anche una responsabilità. Pecco è uno dei primi ad entrare, insieme al compagno Romano Fenati. Per un momento Bagnaia sembra vivere in quell’aforisma di Ennio Flaiano che dice: “Un giovane va incontro alla vita: cioè è la vita che da dietro lo spinge”. Pecco apre il gas, supera, cade, si rialza. Il suo miglior risultato è il quarto posto nel GP di Francia. In tutto raccoglie 50 punti. Vuol dire sedicesimo posto finale in classifica. Poteva andare molto meglio. Ma anche decisamente peggio. A fine stagione passa alla Mahindra. Ci resterà due anni. La sua crescita è costante. Prima chiude quattordicesimo. Poi addirittura quarto, vincendo in Olanda e Malesia. Il salto in Moto2 sembra quasi inevitabile. Ma il suo futuro guarda al passato. E porta di nuovo a Tavullia. Valentino lo chiama e gli propone di salire ancora in sella. È qualcosa di molto vicino a un’occasione unica. Anche perché il Dottore gli confida la sua stima. Far parte di quel team è un qualcosa che va oltre l’idea di correre in moto. Si sta insieme. Si cena insieme. Si risolvono i problemi. Insieme.

Pecco cresce bene. Gara dopo gara. Il primo anno chiude quinto. Poi ecco che il ragazzo di Chivasso serve il suo capolavoro. Nel 2018 ha 21 anni ma la sua faccia è sempre quella del bravo ragazzo. In pista però è una furia. Vince otto gare. In altre quattro sale sul podio. Il penultimo GP si corre in Malesia. E Bagnaia può già chiudere la pratica. Ha già annunciato che l’anno successivo gareggerà in MotoGP. Ma vuole arrivarci da campione del mondo di Moto2. A Sepang chiude terzo, gli basta per cambiare il suo status. La sua dimensione non è più il futuro, ma il presente. “È una cosa sensazionale, essere campione del mondo è qualcosa che non scade, che non scadrà mai: è un successo di tutti, siamo tutti campioni del mondo”, dice a fine gara. Poi mostra il casco con i volti più importanti che lo hanno aiutato a salire fino sul tetto del mondo. “Per me il motociclismo è uno sport di squadra. E quando scendo in pista non sono mai da solo, ma corro con tutti i miei famigliari, i miei amici, la mia squadra al completo”.

Il salto in MotoGP è più difficile del previsto. Nel 2018 porta la sua Ducati al quindicesimo posto. Ma almeno ha la possibilità di girare in pista con Valentino. L’anno dopo sprofonda addirittura fino al sedicesimo posto. La strada però non è così in salita come sembra. Lo scorso anno vince quattro delle ultime sei gare. E chiude secondo in classifica dietro a Fabio Quartararo. Il francese è più forte, lo stacca di 26 punti, demolisce le sue speranze. A marzo ci riprova. La stagione è tutta nuova, ma la paura di non vincere è la stessa. L’inizio è altalenante. Pecco finisce addirittura 91 punti dietro a Quartararo. Pensare di avere anche una sola speranza sembra un esercizio di cieco ottimismo. Ma è nel momento più basso che inizia la risalita. Bagnaia corre con la leggerezza di chi non ha niente da perdere. Si rilassa leggendo qualche libro (Nicholas Sparks e qualche biografia di grandi sportivi), ascoltando la musica. E recupera un punto dietro l’altro. Fino a quando non è di nuovo lì. A inizio ottobre è ospite da Cattelan. Marco, l’assistente di studio, è un suo grande fan. Così gli fa una domanda specifica: “In quale campionato del passato ti piacerebbe correre?”. Pecco infila una mano in tasca e risponde pacato: “Mi piacerebbe correre fra la fine degli anni Novanta e all’inizio del Duemila perché non c’erano i social network e sarebbe stato tutto più facile”. E ancora: “Mi sarebbe piaciuto battagliare con Valentino Rossi al massimo livello. Anche se le avrei prese“. Valentino è una presenza costante, un punto di riferimento, ma anche un metro di paragone che mette pressione. Anche perché Bagnaia è il suo esatto contrario. Il maestro è stata esuberanza pura, Pecco è composto, parla con compostezza, sorride in maniera timida. Oggi però le cose sono cambiate. Il ragazzo di Chivasso è uscito dall’ombra del Dottore ed è diventato campione del Mondo. È un’impresa che lo stacca dalla cronaca e lo consegna alla storia. D’altra parte Bagnaia lo aveva detto qualche anno fa: si tratta di un successo che non scadrà. Mai. Al massimo, potrà solo essere replicato.

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Bagnaia campione del mondo: “È stata la gara più dura e difficile della mia vita”

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