Il colpo arriva netto e fa tremare le pareti. Sono da poco passate le 8 di lunedì 31 ottobre quando il primo razzo Cruise va a bersaglio sulla centrale elettrica collegata alla diga di Zaporizhzhia. La colossale opera ingegneristica si trova nel cuore della città del sud dell’Ucraina, formalmente occupata dai russi dopo il referendum-farsa di un mese fa, e sfrutta l’energia del fiume Dnepr che qui, come a Kiev, diventa un bacino lagunare. Pochi secondi dopo il botto arriva il segnale tangibile che l’obiettivo del missile russo lanciato dalla regione russa di Rostov, al confine meridionale con l’Ucraina, ha colpito un’infrastruttura sensibile: la corrente salta ovunque. E se nelle case e negli edifici privati i gruppi elettrogeni garantiscono la continuità per qualche ora, la parte pubblica di Zaporizhzhya è al buio. Andando verso il luogo dell’esplosione si nota subito che i semafori lungo l’arteria centrale della città, Prospekt Sobornyi, sono spenti e soprattutto i filobus sono in panne in mezzo alla strada a causa del blackout.

L’incendio provocato dal razzo, che ha sfiorato la diga, colpendo in parte anche lo splendido bosco sulla riva del Dnepr, è stato domato in fretta dai vigili del fuoco e l’erogazione di corrente elettrica in città è tornata regolare dopo mezzogiorno. Nel frattempo però l’armata russa non si è accontentata di un solo lancio su Zaporizhzhya, colpita almeno altre due volte, per poi allargare lo spettro ad altre regioni ucraine. Di nuovo Kiev nel mirino, dove sono rimasti senza corrente circa 350mila abitanti, un decimo del totale. Colpite anche le infrastrutture idriche della capitale, a secco centinaia di migliaia di utenze. Secondo le autorità di Kiev, 44 missili su oltre 50 sarebbero stati abbattuti dalla difesa antiaerea, ma in realtà i conti non tornano osservando il bollettino.

I sindaci di una mezza dozzina di città, comprese Kharkiv, Cherkasy e Kirovograd, hanno denunciato attacchi sempre a infrastrutture e impianti energetici. Ormai la strategia del Cremlino è evidente, dopo gli obiettivi militari le bocche di fuoco russe nelle ultime settimane stanno cercando di fiaccare le resistenze della popolazione civile. L’autunno non è mai stato così mite neppure in Ucraina, ma presto il generale inverno si farà sentire nei confronti delle popolazioni delle regioni più coinvolte nel conflitto: Kharkiv, Donetsk, Lugansk, Dnipro, Mikolaev, Zaporizhzhya e Kherson. Domenica, nel giorno dei pesanti bombardamenti, la colonnina di mercurio è scesa nel sud del Paese e gelide folate di vento hanno reso il clima pungente. Ritrovarsi a dicembre con milioni di persone senza gas da riscaldamento ed elettricità nelle case potrebbe fare più vittime di un attacco d’artiglieria pesante.

Paradossalmente a Nikopol, la città sulla sponda settentrionale del Dnepr (120 km a sud-ovest di Zaporizhzhya), di fronte alla centrale nucleare di Energodar, i problemi di approvvigionamento energetico, almeno per ora, non sono il primo dei problemi. Nell’ultima settimana la città è stata colpita pressoché ogni giorno: “Nella notte tra sabato e domenica scorsi sono caduti missili a grappoli in città, non si sono verificate vittime, ma hanno riportato danni almeno 10 palazzi con oltre cinque piani, un’azienda e un gasdotto”, è stato il bollettino stilato da Valentyn Reznichenko, capo dell’amministrazione militare di Dnipro. A seguito di questi e tantissimi altri attacchi la popolazione rimasta a Nikopol, il 20% del totale stando al sindaco Oleksandr Sayuk, vive su una specie di ascensore: “Di giorno, in assenza di allarmi antiaerei, i residenti di Nikopol stanno in superficie e cercano di vivere una vita quanto più possibile normale, coabitando con la paura, la tensione e la pesante routine. Di notte scendono nei bunker disseminati in città”. A dirlo è Mihail Mavrodiy, funzionario dell’amministrazione militare della regione di Dnipro, di cui Nikopol fa parte.

È lui ad accompagnare i giornalisti nella città-bersaglio dell’artiglieria russa. Una regola stringente: si entra per poche ore al massimo, ma prima del calar del sole tutti fuori. “Non possiamo permetterci di farvi rischiare, come vede la centrale nucleare di Energodar è proprio lì, 5 km in linea d’aria. I missili partono da quattro località attorno a essa, compresa Energodar ovviamente, e ognuno impiega venti secondi per coprire la distanza con Nikopol. Riuscite a capire i motivi di tanta attenzione – aggiunge Mavrodyi – I missili russi colpiscono infrastrutture e obiettivi civili, potete vedere le decine di edifici distrutti. Il problema è che le forze ucraine, al contrario, non riescono a intercettare missili a così corto raggio e non possono controbattere il fuoco. Il rischio di colpire la centrale nucleare è troppo alto e poi ci sono i civili sotto ostaggio. Di là del fiume vive la mia famiglia, ci sono i miei genitori”.

I paradossi e le paure di chi vive nel tratto del grande fiume Dnepr, costellato di centrali nucleari, idroelettriche e dighe, come quella di Kakhovka, più a sud-ovest rispetto a Nikopol che, secondo Kiev, il Cremlino vorrebbe distruggere. Tornando agli abitanti della città sotto attacco, domenica sera, come succede ormai da alcuni mesi a questa parte, in molti non si sono fidati del fato preferendo passare la notte nei bunker che l’amministrazione ha messo a disposizione. Di giorno sono semivuoti, ma di notte si affollano. In cima a una collina che guarda verso Energodar si trova la scuola n.4. I tre piani dell’ampio edificio sono vuoti, le lezioni ‘in presenza’ sono sospese dal febbraio scorso, ma basta scendere di una mezza dozzina di metri per entrare negli angusti sotterranei trasformati in bunker antiaerei: “Tra le 9 e le 10 di sera la gente inizia ad arrivare e resta fino alle 5, le 6 del mattino – racconta la responsabile della scuola e del claustrofobico bunker, Svetlana Prynsky – Vengono soprattutto le famiglie con i bambini che più di altri vanno protetti. Ogni notte ospitiamo tra le 120 e le 150 persone, dipende da sera a sera. Qui c’è lo stretto necessario, letti, sedie, tavoli per mangiare, un bagno, le spine per ricaricare i dispositivi”. Chi se ne infischia delle bombe e sfida il destino è un gruppo di persone, purtroppo in aumento: “Di sera fuori da alcuni negozi che vendono alcol fino a tardi si radunano in tanti, uomini e donne – conclude Mavrodyi – e bevono superalcolici. Le cose iniziano tra risate e pacche sulle spalle, ma ogni sera scattano risse violente tra ubriachi. Il ricorso all’alcol è una piaga in crescita a Nikopol, un altro effetto della guerra”.

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