Gli scorsi 28 e 29 ottobre ad Aversa si è ripetuto una specie di miracolo che oramai avviene da diciotto anni: il Premio Bianca d’Aponte, rassegna di musica d’autore che comprende un concorso per sole cantautrici. Capita sempre meno spesso di partecipare a rassegne di musica d’autore in cui l’incontro tra le persone possa generare un clima più importante degli addetti ai lavori, degli artisti che vi partecipano e persino delle canzoni stesse. Capita sempre meno spesso, insomma, di trovarsi in situazioni in cui l’umanesimo e l’educazione sentimentale siano la struttura e il resto una conseguenza.

È fondamentale, perché poi è proprio da quella struttura che scaturiscono le belle canzoni. L’arte è la conseguenza dei presupposti che l’hanno generata; quasi mai succede il contrario. Ad Aversa lo hanno capito da tempo, visto che Gaetano, Giovanna, Gennaro e tutti gli organizzatori ci tengono a creare un clima accogliente, umano, oramai unico.

Per la direzione artistica di Ferruccio Spinetti, quest’anno si sono alternati sul palco del teatro Cimarosa da Niccolò Fabi a Simona Molinari, passando per la madrina Grazia Di Michele, per il premio alla carriera Paola Pitagora, Pacifico, Pippo Kaballà, Raiz, Giuseppe Barbera, Sorah Rionda e tutte le ragazze in gara.

Nelle due sere, le concorrenti hanno dato vita a set molto differenti. Personalmente sono rimasto molto colpito dalla bravura comunicativa di Lula, dalla sensibilità compositiva di Giorgia Canton, dalla capacità di racconto di Alessandra Nicita, dalla forza d’impatto di Jole.

Il premio assoluto è andato a Moà, con un brano di denuncia contro la violenza sulle donne, che si aggiudica anche il riconoscimento per il miglior testo: una canzone dalla scrittura agile, perfettamente a suo agio tra la parola poetica e quella colloquiale, diretta, con una comunicazione potente quando la melodia si apre sul ritornello, con il suggestivo e virtuoso accompagnamento al piano solo di Nunzia Carozza. Vittoria più che meritata, direi.

Premio della critica, intitolato a Fausto Mesolella, primo direttore artistico della manifestazione, a Jole, che nelle due sere si è esibita in modo molto diverso, conservando però la sua cifra stilistica particolare. Il punto è che scrivendo di questo premio sembra sempre che si esageri. Bisogna viverlo.

“Finalmente sono riuscito a partecipare al premio Bianca d’Aponte, ed è davvero un premio per chiunque riesca ad esserci”. Con queste parole Niccolò Fabi ha descritto il giorno dopo su Fecebook la sua partecipazione, ed è tutto vero.

Niccolò sul palco ha ricordato le sue personali e particolari motivazioni di vicinanza alla rassegna, e facendolo ha disegnato un ponte solido e leggero di sostegno e simbiosi con le artiste in gara, prima di eseguire quella che forse è la sua più bella canzone: Costruire. Il brano si è fatto testimonianza di ciò che conta di più, cioè l’aderenza tra l’arte e la vita. Le canzoni nel tempo devono somigliare sempre più a chi le scrive e chi le canta, per valere qualcosa. Nel suo caso è felicemente così.

Così ha fatto Simona Molinari nella sua esibizione: su quel palco non si canta da eroi. La sensazione è quella di dare un contributo, aggiungere un filo sottile a una trama naturale e leggera, ma anno dopo anno incredibilmente sempre più resistente. Allora si può dire che il Premio Bianca d’Aponte non è affatto un miracolo: è una serie di gesti concreti da parte di più persone.

Prima di tutto degli organizzatori, poi di chi si ritrova ad Aversa per necessità di bellezza, voglia di respirare le stesse vibrazioni. All’inizio di questo scritto mi sbagliavo. No, non è un miracolo, è la vita.

Articolo Precedente

Ambra: “Non sono una deficiente. Non ho mai detto che ‘T’Appartengo’ è una canzone felice e che quindi la ministra Bernini felice doveva usare una cosa felice”

next
Articolo Successivo

Romina Falconi, in ‘Lupo Mannaro’ lo spettacolo del vuoto: “Canto le ombre più mostruose e non voglio educare nessuno. Il pop italiano? C’è molto da migliorare”

next