Avete letto, per caso, le parole del segretario lombardo dei giovani dem? Non vi sembra di averle già sentite? In effetti sono le parole che, dal giorno delle elezioni a questa parte, pronuncia con cadenza quotidiana qualsiasi elettore progressista di questo paese.

O anche da prima, considerando che dall’uscita la campagna “Scegli”, con cui il Pd chiedeva ai propri potenziali elettori di scegliere tra la destra e il nulla, era già chiaro che l’elettorato avrebbe scelto la destra, o che semplicemente sarebbe in gran parte rimasto a casa, ad osservare la disfatta del partito più importante della sinistra italiana con la rassegnazione con cui si guarda lo sciogliersi di un cono gelato caduto sull’asfalto.

Non ci riconosciamo in nessuno che abbia fatto parte della classe dirigente ad alto livello del Pd, questo dice Pacini. E non fa – e giustamente- una distinzione di correnti, gruppi interni o appartenenze.

Al Pd sono anni che tutti hanno sbagliato tutto, ex democristiani ed ex comunisti, destra della sinistra o sinistra della destra. E’ ormai un fallimento sistematico e ciclico, ogni tanto qualche leader si afferma, fa intravedere qualche speranza, vince qualche elezione amministrativa e poi comincia un breve processo di decadimento, al termine del quale è costretto a dimettersi. In un partito di signorotti e delfini, si scelgono quindi gli esemplari più adatti per un finto rinnovamento e via avanti come se nulla fosse, nel perpetuarsi costante del medesimo errore di fondo.

Neanche una batosta come quella che ha portato il conservatorismo più bieco al governo del Paese è riuscita ad indurre il Pd ad un cambiamento vero e chi, come il segretario lombardo, prova a dire le cose come stanno viene tacciato di eresia e di disamore verso la causa comune.

Io trovo che sia arrivato invece il momento, a sinistra, di dirsi la verità e la verità è una sola e, stavolta, davvero poco incline alle sfumature: o nasce qualcosa di completamente differente o si muore.

E per farlo il Pd non ha moltissimo tempo, se non vuol fare la fine del Parti Socialiste francese. Servono subito leader nuovi che sentano la missione di rifondare il bagaglio culturale della sinistra italiana, mettendo la polverosa politica organizzata in connessione con il presente. Per intenderci, nulla è più inutile di continuare a discutere della fantomatica fusione delle migliori culture riformiste del progressismo cattolico e del PCI: Anche basta, si sono dimostrate due culture incompatibili tra loro, che non hanno fatto altro che bloccarsi a vicenda.

Lotta alla povertà, lavoro dei giovani, equità, sostenibilità e diritti, ecco i temi di una sinistra che si congeda finalmente da un lunghissimo ‘900 e si aggancia ai movimenti giovanili che si stanno organizzando in tutto il mondo. E magari un nuovo Pd potrebbe evitare di incorrere nel solito errore di limitarsi ad enunciare i principi come mantra, ma al contrario abituarsi sempre a declinare i principi in risposte concrete, in grado di incidere concretamente sulla vita delle persone.

Detto ciò, continua ad avere ragione Pacini, idee nuove devono essere rappresentate da volti nuovi. Lui cita Brando Benifei, il giovane capogruppo Pd al Parlamento europeo, io ci aggiungerei anche Chiara Gribaudo, una delle poche deputate a farsi un nome nel dibattito sul tema dei giovani e del lavoro, ed Elly Schlein, di cui conosco le capacità già dai tempi di OccupyPd e che è probabilmente, fra i tre, quella più avanti in termini di consapevolezza.

I nomi ci sono, attendendo però di verificarne le intenzioni. Sono davvero pronti ad una rivoluzione in grado di rifondare la sinistra o aspettano, anche loro, solo il proprio turno? Ecco, lo vedremo presto. Se davvero vogliono costruire qualcosa di diverso e non solo sostituirsi ai rispettivi predecessori alla testa delle correnti organizzate del Pd, dovranno necessariamente parlarsi e fare qualcosa insieme.

E dovranno farlo senza chiedere il permesso, anzi, come in tutti processi di emancipazione che si rispettino, dovranno farlo nel conflitto.

IL DISOBBEDIENTE

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