Braccio di ferro tra donne al comune di Palermo. Oggetto del contendere? La declinazione al femminile delle cariche nei documenti scritti dell’amministrazione. Tutto è partito dalla consigliera di opposizione, Mariangela Di Gangi, che ha strigliato il neo segretario generale, Raimondo Liotta, perché negli atti non era ancora previsto il femminile. Liotta ha quindi prontamente emanato una nota per invitare tutti ad allinearsi, ma subito è arrivato il gran rifiuto della neo vice sindaca e assessora al Bilancio, la meloniana, Carolina Varchi, che ha addirittura minacciato di non firmare più atti qualora si fossero rivolti a lei declinando il suo ruolo al femminile.

L’esponente Fratelli d’Italia e vice del sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, è andata quindi oltre il solco già tracciato dalla presidente del consiglio, Giorgia Meloni, perfino opponendo un eventuale “no” alla firma nel caso fosse citata al femminile. “Chiamatemi vicesindaco e assessore” al bilancio, ha detto Varchi.

È questa quindi la risposta palermitana alle polemiche suscitate negli ultimi giorni dalla volontà della nuova premier di farsi chiamare “il presidente” e non “la presidente”. Ma si tratta, soprattutto, della reazione di Varchi alla circolare del segretario generale del comune di Palermo, Raimondo Liotta, inviata a tutti gli uffici del comune siciliano per “sensibilizzare le funzioni dirigenziali affinché costantemente, nella diuturna operatività, venga utilizzata, in sede di comunicazione di carattere ufficiale e istituzionale, la declinazione al femminile di qualsiasi carica allorquando tale carica sia rappresentata da una donna”. Una querelle che da Roma è caduta, con effetto domino, sulle amministrazioni locali. Perlomeno su quella del capoluogo siciliano.

A sollevare la questione per prima è stata Di Gangi, che ha chiesto al segretario generale il rispetto “delle regole della lingua italiana”. La consigliera di Progetto Palermo ha sottolineato come “nonostante il Consiglio nel 2017 abbia deliberato di adottare nel vigente Regolamento il linguaggio di genere, attualmente continua ad essere utilizzato esclusivamente il maschile generico. Cosa che non solo rappresenta un’offesa alle dirette interessate, ma anche un mancato rispetto della grammatica italiana”.

Di tutt’altro avviso la neo vicesindaca secondo la quale “iniziative simili distolgono l’attenzione da un’autentica difesa di diritti e prerogative delle donne – spiega la meloniana Varchi – che certamente non sono riconducibili all’utilizzo di una vocale in luogo di un’altra ma che richiedono interventi incisivi in materia di sostegno al lavoro femminile, alla parità salariale, alla famiglia (anche mediante l’erogazione di servizi per l’infanzia), al contrasto di ogni violenza di genere, solo per citarne alcuni in un elenco che non ha pretesa di esaustività ma di sola esemplificazione”.

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