La data cerchiata in tutte le Procure d’Italia è il 2 novembre. Cioè il primo giorno lavorativo dopo la festa dei Santi, quando entrerà in vigore il decreto delegato che completa la riforma penale di Marta Cartabia. Accanto alle norme con effetti immediati – come quelle sulla contestata improcedibilità – il testo approvato nel 2021 affidava infatti al governo il compito di dettagliare buona parte delle nuove regole per i processi, a cui la ex Guardasigilli ha provveduto in extremis (dopo le elezioni di settembre) con un decreto legislativo che ora sta per abbattersi sui tribunali, rivoluzionando il lavoro di giudici e pm. E tra le novità ce n’è una che rischia di fare parecchio rumore, liberando da un giorno all’altro un esercito di indagati sottoposti a misure cautelari: dal mese prossimo, una serie di reati che finora erano punibili d’ufficio (cioè anche senza richiesta della vittima) diventeranno perseguibili soltanto a querela, cioè solo se la persona offesa chiederà esplicitamente all’autorità giudiziaria di indagare. Parliamo di tutti i furti – inclusi quelli aggravati come i furti in appartamento o i furti d’auto – delle lesioni personali stradali gravi o gravissime, dei sequestri di persona e delle truffe semplici, delle violenze private, dei danneggiamenti.

Uno stratagemma con cui Cartabia mira a ridurre la quantità di processi, contando sul fatto che non tutte le vittime – per pragmatismo o mancanza di mezzi – sceglieranno di denunciare. Ma il decreto avrà da subito una conseguenza molto visibile e molto impopolare, di cui rischia di fare le spese il suo successore Carlo Nordio. All’entrata in vigore, infatti, la nuova legge si applicherà da subito ai procedimenti in corso, perché più favorevole al reo. Così, dalla mezzanotte e un minuto del 1° novembre, le indagini e i processi per questi reati non potranno andare avanti se non c’è una querela. E anche tutte le misure cautelari già disposte decadranno immediatamente, con l’effetto che centinaia di ladri, già ritenuti pericolosi da un giudice (quasi sempre perché recidivi), lasceranno il carcere o i domiciliari per tornare a piede libero. Persino se hanno già una condanna non definitiva sulle spalle. Una bella grana per il neo-ministro della Giustizia, espressione di un partito che della lotta alla micro-criminalità ha fatto una bandiera. Tanto che dalla sua area politica è già arrivato l’appello a intervenire con un decreto-legge ad hoc per neutralizzare il liberi tutti, dando un messaggio netto sul tema della sicurezza e scansando la patata bollente dal punto di vista mediatico. Una mossa che avrebbe del clamoroso e metterebbe subito in crisi la continuità tra il governo di Mario Draghi e quello di Giorgia Meloni.

Nel frattempo, però – alla faccia dell’efficienza della giustizia – gli uffici di tutto il Paese sono impegnati da giorni a prepararsi all’impatto della nuova norma. Ad esempio preparando i decreti di scarcerazione o di archiviazione da eseguire quando arriverà l’ora x, o passando in rassegna tutti i fascicoli per furto, truffa, lesioni stradali e così via, verificando se il reato è stato denunciato dalla vittima: in caso negativo, l’autorità giudiziaria (il pm in fase di indagine, il giudice durante il processo) deve invitarla a sporgere querela entro il canonico termine di tre mesi. Se non lo fa, il reato si estingue e il processo muore. A regime, poi, la riforma avrà altre conseguenze “curiose”: nel caso di furti che prevedono l’arresto in flagranza, ad esempio, il derubato sarà costretto a sporgere querela in tutta fretta entro l’udienza di convalida, cioè nell’arco di 48 ore, altrimenti il giudice non potrà applicare alcuna misura cautelare e l’arrestato tornerà libero.

Insomma una piccola rivoluzione che nelle prossime settimane rischia di ingolfare ancora di più i tribunali, anche perché – denunciano le toghe – la ex ministra non ha previsto un periodo di transizione, cioè un intervallo temporale prima dell’entrata in vigore della nuova regola: “Si sarebbe potuto decidere di applicarla a partire dal 1° gennaio 2023, com’è stato fatto per altre parti della riforma. In questo modo, sia per noi magistrati sia per gli avvocati, ci sarebbe stato più tempo per organizzarsi”, dice al fattoquotidiano.it il sostituto procuratore generale di Catania Antonio Nicastro, che ha studiato il dossier per l’Associazione nazionale magistrati. E sottolinea: “In questo caso si è preferito fare in fretta, per cercare di abbattere subito l’arretrato e raggiungere gli obiettivi del Pnrr. Ma scordando che fare in fretta non sempre equivale a fare bene“. Nei giorni scorsi il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia aveva lanciato l’allarme, chiedendo un intervento d’emergenza al nuovo ministro: “La mancanza di un intervento regolativo comporterà incertezze e contrasti interpretativi che graveranno ancora una volta sulla speditezza del lavoro degli uffici giudiziari e ne intralceranno pesantemente l’azione nella fase di prima attuazione della riforma”, aveva avvertito. “Il forte auspicio”, incalzava, “è che si intervenga, con un provvedimento di urgenza, per colmare le lacune di regolazione transitoria della riforma appena varata”.

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