La separazione delle carriere e una nuova riforma dell’ordinamento giudiziario, nonostante l’ultima sia appena entrata in vigore. E poi l’obiettivo che piace a tutti ma che nessuno (finora) è stato in grado di realizzare: i processi più veloci. Nel suo lungo discorso per chiedere la fiducia alla Camera Giorgia Meloni ha toccato anche alcuni dei punti del programma relativi alla giustizia. “Legalità vuol dire anche una giustizia che funzioni, con una effettiva parità tra accusa e difesa e una durata ragionevole dei processi, che non è solo una questione di civiltà giuridica e di rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini, ma anche di crescita economica: la lentezza della giustizia ci costa almeno un punto di pil l’anno secondo le stime di Bankitalia“, ha detto la capa del governo. Effettiva parità tra accusa e difesa significa appunto la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti: un punto che è da sempre nel programma di centrodestra e che anche recentemente Carlo Nordio, neo ministro della Giustizia, ha inserito tra le sue priorità.

La riforma delle toghe – Va detto che l’ultima riforma di Marta Cartabia dell’ordinamento giudiziario ha già limitato la possibilità di passare dalle funzioni di pm a quelle di giudice e viceversa: potrà avvenire un solo passaggio e soltanto entro i dieci anni dalla prima assegnazione del magistrato. Praticamente è una separazione delle carriere de facto. Meloni, però, ha annunciato pure l’intenzione di mettere mano all’ultima riforma varata dal governo di Mario Draghi in tema di toghe. “Rivedremo anche la riforma dell’ordinamento giudiziario, per mettere fine alle logiche correntizie che minano la credibilità della magistratura italiana”. La riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario della Cartabia, approvata solo pochi mesi fa, doveva servire proprio a questo: a limitare lo strapotere delle correnti. Un obiettivo fallito anche se, subito dopo aver giurato al Quirinale, il nuovo guardasigilli Nordio aveva sostenuto che la riforma Cartabia “andava nella direzione assolutamente giusta ma aveva dei limiti“. Evidentemente il nuovo esecutivo intende mettere mano a quei limiti: resta da capire quali siano, secondo il nuovo titolare del dicastero di via Arenula.

Giustizia minorile e piano carceri – Nel suo discorso Meloni ha pure spiegato che il suo governo intende mettere mano alla “giustizia minorile, con procedure di affidamento e di adozione garantite e oggettive, perché non ci siano mai più casi Bibbiano, e intendiamo portarlo a termine”. La questione Bibbiano è stata spesso agitata dalla destra in campagna elettorale per attaccare il Pd. E in effetti Fdi aveva inserito una riforma della giustizia minorile nel suo programma: prevedeva l’eliminazione dei Tribunali per i minorenni e l’istituzione di sezioni specializzate presso ogni tribunale. Meloni, alla Camera, non è scesa nei dettagli ma si è limitata a concetti generici. Sempre nel programma di Fdi si parla di un piano carceri, altro tema toccato oggi da Meloni che ha citato anche l’altro numero di suicidi avvenuti nei penitenziari nell’ultimo anno. “Lavoreremo per restituire ai cittadini la garanzia di vivere in una Nazione sicura, rimettendo al centro il principio fondamentale della certezza della pena, grazie anche a un nuovo piano carceri. Dall’inizio di quest’anno sono stati 71 i suicidi in carcere. E’ indegno di una nazione civile, come indegne sono spesso le condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria”. Resta inevaso un interrogativo: dove il governo a guida Fdi intenda recuperare i fondi per la costruzione di nuovi penitenziari.

La lotta alla mafia – Ampio spazio del suo discorso la nuova capa del governo lo ha dedicato alla lotta alla mafia. Lo ha fatto quando ha deciso di ricordare, ancora una volta, di aver cominciato a far politica dopo l’omicidio di Paolo Borsellino. “Ho iniziato a fare politica a 15 anni, il giorno dopo la strage di Via D’Amelio, nella quale la mafia uccise il giudice Paolo Borsellino, spinta dall’idea che non si potesse rimanere a guardare, che la rabbia e l’indignazione andassero tradotte in impegno civico. Il percorso che mi ha portato oggi a essere presidente del Consiglio nasce dall’esempio di quell’eroe”, ha detto Meloni. Che poi ha promesso: “Affronteremo il cancro mafioso a testa alta, come ci hanno insegnato i tanti eroi che con il loro coraggio hanno dato l’esempio a tutti gli italiani, rifiutandosi di girare lo sguardo o di scappare, anche quando sapevano che quella tenacia li avrebbe probabilmente condotti alla morte. Magistrati, politici, agenti di scorta, militari, semplici cittadini, sacerdoti. Giganti come Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rosario Livatino, Rocco Chinnici, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella, Emanuela Loi, Libero Grassi, don Pino Puglisi, e con loro un lunghissimo elenco di uomini e donne che non dimenticheremo. La lotta alla mafia ci troverà in prima linea. Da questo Governo, criminali e mafiosi non avranno altro che disprezzo e inflessibilità”.

La questione dell’ergastolo ostativo- Nel suo primo discorso in Parlamento nella nuova veste di capa del governo, dunque, Meloni ha deciso di dedicare ampio spazio alla questione mafiosa, facendo in aula i nomi e i cognomi dialcune tra le principali vittime eccellenti di Cosa nostra. Citazioni dal grande valore simbolico ma che lasciano il tempo che trovano se non saranno sostenute da scelte precise. Nel caso di Fratelli d’Italia – il partito principale di governo – il precedente dell’appoggio dato a Renato Schifani – archiviano per concorso esterno – in Sicilia vale come monito. Ora che Meloni è a Palazzo Chigi altri saranno i banchi di prova. Per esempio: davvero il nuovo governo intende risparmiare sulle intercettazioni – mezzo fondamentale di lotta alla mafia – come ha annunciato il ministro Nordio? E cosa farà il nuovo esecutivo sulla questione dell’ergastolo ostativo? “Uno degli istituti più efficaci della lotta alla mafia, spero che su questo ci si voglia dare una mano”, ha detto Meloni nella sua replica. Senza una riforma, che il precedente Parlamento ha affossato poco prima della fine della legislatura, i boss delle stragi potrebbero tornare in libertà anche senza collaborare con la magistratura. Dopo due rinvii, infatti, la nuova udienza della Consulta è fissata per l’8 novembre prossimo.

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