Si tratta di uno dei più annosi dibattiti della storia manageriale: allorquando occorre sostituire un dirigente-manager-capo (che non sia lo stesso proprietario) in una piccola impresa, è opportuno o no disporre di un ben congeniato sistema che, dopo aver definito le competenze richieste per gestire i ruoli di più elevata responsabilità aziendale, provvede a rilevare (oggi si dice a mappare) le competenze possedute dai manager presenti in un’azienda per facilitare la giusta sovrapposizione fra i requisiti del ruolo e le competenze possedute?

In verità non sono molte le aziende che, nel nostro paese, si sono dotate o pensano di dotarsi di tali sistemi. È anche vero, però, che ci sono alcuni piccoli imprenditori che hanno investito energie, tempo e denaro per dotare la propria azienda di un sofisticato modello di competenze, presupposto di un piano dei rimpiazzi e di formazione, generalmente assistiti da note società di consulenza. Peccato che questi lavori di mappatura siano fatti un po’ tutti allo stesso modo, che non tengano generalmente conto delle diversità insite nei vari settori e tipi di aziende, che si sovrappongano a cultura, valori, stili in uso in aziende e forniscano un prodotto standardizzato che presenta molteplici carenze.

Innanzitutto è davvero utile richiedere, in sede di selezione, un repertorio “mostruoso” di competenze, e poi non accompagnarlo da una parallela accurata rilevazione delle performance e delle potenzialità di sviluppo del candidato?

Vi è, poi, un’altra considerazione che vorrei evidenziare a questo proposito. Posso concordare sull’utilità di effettuare una sintetica rilevazione delle competenze tecniche ritenute essenziali per gestire le varie posizioni organizzative aziendali. Specialmente a livello di impiegati e di quadri giovani può dare un certo contributo a definire piani di mobilità e addestramento specialistico delle tecniche del mestiere. Quando però si sale nella scala gerarchica e aziendale, e soprattutto quando ci si spinge a voler definire i requisiti di leadership, allora suggerisco la massima cautela.

Elementi come imprenditorialità, innovazione, intuizione, flessibilità, immaginazione, personalità e, in una parola, carisma, sono termini comunemente usati per definire un leader. Sono tutti elementi difficilmente codificabili e misurabili, in continua variazione in coerenza con l’evoluzione biologica degli individui. Sono tutti espedienti che un vero leader deve saper adoperare, unitamente alle sue competenze più squisitamente manageriali, per risolvere situazioni o per impostare strategie e azioni in modo assolutamente unico distintivo e vincente. È per questo che i grandi leader (come i grandi chef o i grandi chirurghi o i grandi artisti) sono pochi, anzi pochissimi.

Ma quale tipo di leadership è davvero necessaria in quella posizione e in quella determinata piccola realtà?

Piuttosto che scimmiottare le grandi aziende, meglio allora provare a risolvere il problema estrapolando insieme a gruppi di senior, middle e junior manager i tratti caratteristici dei leader che hanno “fatto” l’azienda, che con il loro impegno l’hanno portata al successo anche attraverso una paziente, continua opera di consolidamento della cultura e del set di valori che caratterizzano quella azienda e la differenziano da tutte le altre.

È forse più lungo, più faticoso ma certamente più coinvolgente chiedere ad un capo reparto: “se dovessi pensare ad un modello di capo per una posizione simile alla tua, come lo immagineresti?”

L’identificazione di quelle caratteristiche, la loro divulgazione a tutta la popolazione aziendale nei vari momenti collegiali (programmi formativi, eventi, riunioni, discorsi del management) e il continuo rinforzo e sottolineatura a livello di valutazioni e di sistemi premianti possono incidere sul sentimento collettivo più di qualsiasi sistema codificato, preconfezionato e “forzato” nel substrato culturale aziendale.

In sostanza, è difficile pensare di creare dei leader in laboratorio. È utile, semmai, creare un sistema di sviluppo del capitale umano “costruito dall’interno”, magari con l’assistenza di esperti esterni portatori di esperienze e best practice, molto coerente con visioni, cultura e valori aziendali e basato su esempi interni di successo. Un parto quindi già condiviso in partenza, un processo non standardizzato e sempre supportato dal vertice aziendale.

Sistemi di questo tipo sono utilissimi per orientare la crescita del management e per facilitare le scelte (come la sostituzione di un senior manager dimissionario o licenziato), ma senza soffocare le caratteristiche e le originalità degli individui nell’ambito di un ben definito e conosciuto schema di riferimenti aziendali.

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