“Questa legge non dà nessuna risposta al 96% dei malati non autosufficienti e non la dà nemmeno agli altri, il 4% di anziani malati che risponde ai parametri Isee necessari per avere assistenza, perché il testo fa continuo riferimento alla disponibilità e ai limiti delle risorse economiche che non bastano. Non c’è nessuna presa in carico del malato cronico non autosufficiente da parte del Servizio sanitario e salvo per le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie già previste e la stragrande maggioranza delle famiglie che li cura a casa resta allo sbando: devono aggiustarsi da sole, improvvisarsi infermieri e oss…”.

A parlare con Maria Grazia Breda, presidente della Fondazione Promozione Sociale che da decenni si batte per il diritto alle cure delle persone non autosufficienti, sembra che ci sia ben poco da festeggiare il varo del Ddl Anziani avvenuto nel corso dell’ultima seduta dell’esecutivo Draghi. “Non ci aspettavamo questo colpo di mano all’ultimo consiglio dei ministri… far passare sotto la porta un provvedimento di tal portata!”, esclama non nascondendo preoccupazione: “C’è tanta propaganda nel presentare il provvedimento, ma la sostanza è una tragedia per le famiglie: diritti non ce ne sono, le famiglie continueranno ad essere in balia di se stesse – spiega -. Novità non ce ne sono, a parte il rischio che venga intaccato l’assegno di accompagnamento. Invece c’è un taglio discriminatorio, perché adesso tutti i cittadini hanno pari diritti sanitari, mentre nel Ddl si ipotizza l’istituzione a parte di un Servizio di assistenza solo per gli anziani malati cronici. Quindi una sorta di ghettizzazione per chi non viene considerato più produttivo, con la creazione di un serbatoio dove si scaricano le persone ritenute inutili, per le quali le risorse saranno sempre meno”.

Il Ddl Anziani, però, è solo l’ultimo tassello di una progressiva erosione dei diritti di chi non può difendersi. “È un disegno che è partito da analisi e documenti del consiglio Superiore di sanità. L’obiettivo è scaricare dalla sanità tutti coloro che non guariscono e che creano la necessità di cure di lunga durata e quindi investimenti – ricostruisce Breda -. Hanno iniziato negli anni 2000 a ledere il diritto di cure senza limiti temporali che è invece previsto dalla legge 833 del 1978, con la previsione di termini oltre i quali il malato cronico deve pagare il 50% delle cure. Siccome non è bastato, le Regioni hanno iniziato a inventare delle commissioni per valutare non tanto la tua malattia e la tua necessità di cure, quanto l’entità del patrimonio che ti permetterebbe di curarti da solo, per negarti il contributo della sanità. Così si sono impoverite e continueranno a impoverirsi le famiglie e le generazioni future”. In particolare il ceto medio, o medio basso come lo definisce Breda, i cui risparmi fanno gola alle compagnie di assicurazione che non a caso sono tra i sostenitori del provvedimento.

“Lo scopo è dimenticarsi di questo ambito: sarà l’ambito in cui se ci sono soldi bene, se non ci sono pazienza. Il socio-assistenziale, dove è collocato il disegno di legge delega per la non autosufficienza, non è come in sanità: si accede in base all’Isee e quando finiscono i soldi, finisce il diritto. Sempre meno sanità pubblica per spingere i cittadini a comperare polizze assicurative. Ma, come è riportato nella nostra tessera sanitaria, la legge 833/1978 è già la nostra assicurazione, pagata con il versamento delle tasse, per avere le prestazioni a cui abbiamo diritto anche quando siamo inguaribili, ma sempre curabili”.

Analogamente la presidentessa di Diana Onlus, Donatella Oliosi ricorda come, “il diritto alla salute non può essere vincolato alla programmazione di bilancio, deve essere il contrario”. Non è un caso, quindi, che nel provvedimento “la persona malata non autosufficiente non venga presentata per quello che è, cioè un malato cronico: vengono usati vari modi per indicare il destinatario del provvedimento, ma non viene mai usata la parola malato ed è fatto con malizia, perché riconoscere che si tratta di malati vorrebbe dire che la garanzia delle cure di queste persone sono i livelli essenziali di assistenza. Cure che non vengono erogate a lungo termine, ma erogate solo in base alle risorse”, sottolinea.

Secondo Oliosi, che punta il dito contro il trasferimento delle competenze ai Comuni e l’istituzione del Fondo Socio Sanitario prevista dal Ddl finalizzato al contenimento delle risorse che andrebbero stanziate al Ssn, “lo scopo è quello di normalizzare un comportamento che viola la normativa: mentre adesso è possibile ricorrere in giudizio per vedere tutelati i diritti del malato non autosufficiente, con questa normativa non lo sarà più. E sia i disabili che i malati non autosufficiente saranno fuori”. Al contrario, come rivendica Breda, “era necessario aggiungere nei Lea, che sono diritti esigibili per tutti in sanità, il riconoscimento di un contributo economico per sostenere i costi delle altre prestazioni che si devono assicurare al domicilio 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno, anche con l’aiuto di altre persone (badanti); così come nei Lea è riconosciuto a carico della sanità il 50% del costo della retta in Rsa”.

E così associazioni e famiglie dei malati sono pronte a dar battaglia. “Questo ddl cade come una scure su un sistema sociosanitario già alla deriva, in particolare per gli anziani in Rsa, sempre più in uno stato di abbandono di degrado – spiega Letizia Caselli, promotrice Comitato Residenza Paradiso di Ferrara e attivista Amnesty International Italia – Per tutto questo chiediamo un incontro urgente con Governo e Parlamento, come suggeritoci di recente per iscritto dal presidente Mattarella, che se ne cava fuori, poi andremo a Bruxelles al Consiglio d’Europa. Non possiamo più essere spettatori di palesi violazioni dei diritti umani, della dignità e della salute e adesso anche dei diritti costituzionali. Il vento deve cambiare”.

D’altro canto che in pentola non bollisse molto di buono era chiaro fin dalle premesse. Non solo per le previsioni delle missioni 5 e 6 del Pnrr in tema “confusione” tra livelli essenziali di assistenza e livelli essenziali di prestazioni sociali, ma anche nel fatto che all’interno della Commissione interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana costituita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a inizio anno al fine di assicurare un supporto tecnico scientifico al capo del governo, non erano stati previsti interventi dei rappresentanti di famiglie e malati. C’era però un comitato tecnico-scientifico che ha incluso anche un rappresentante della lobby dei banchieri (Abi) e degli assicuratori (Ania).

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