Il mito di Marilyn Monroe, donna incredibilmente magnetica e teneramente fragile, ha attraversato epoche e culture diverse senza mai sbiadire: Marilyn icona mondiale, simbolo senza tempo di sublime femminilità e disarmante ingenuità. Un mito che è stato analizzato in maniera quasi maniacale, da innumerevoli documentari e libri che hanno cercato di indagare sulla vita privata della donna dietro la maschera dorata del successo planetario. Chi era Norma Jeane Baker? In tanti hanno provato a rispondere a questa domanda ed è quello che tenta di fare anche Blonde, il nuovo film di Andrew Dominik, basato sull’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates.

Un film complesso, che si insinua in maniera viscerale e a tratti disturbante, nel privato di Marilyn Monroe discostandosi molto dall’immagine patinata della star per andare a scavare nel privato di Norma Jeane: la piccola Norma Jeane maltrattata dalla madre psicopatica, Norma Jeane la bambolina che dice sempre sì, Norma Jeane che cerca disperatamente suo padre in ogni uomo della sua vita, Norma Jeane che vuole un figlio con ogni fibra del suo corpo, ma che quando si trova di fronte alla reale possibilità di diventare madre, soccombe alla paura di diventare come la sua, di madre. Dominik confeziona un film tutto sommato ben fatto e fotograficamente straordinario, in cui l’estetica è protagonista assoluta. Forse troppo. Ana de Armas è magnificamente calata nel personaggio, tanto che in alcuni momenti sembra quasi fondersi con la vera Marilyn.

Tutto sembra perfettamente combinato per regalarci un film capolavoro. Cosa che in realtà non accade. Blonde è un bel film, ma non abbastanza per onorare la memoria di un personaggio come Marilyn Monroe e la scelta di voler basare tre ore di film sulla sofferenza e l’ingenuità a tratti surreale della protagonista, non è sufficiente a renderlo il film introspettivo e profondo che pretendeva di essere. Non è Spencer, per intenderci, in cui Pablo Larrain ci regala un’introspezione e un’analisi profonda del personaggio magistrale e insieme poetica. Diana ci viene raccontata in maniera completa e accurata, lasciando ampio spazio ad ogni genere di sfumatura.

In Blonde tutto è monocolore, a cominciare proprio dai fotogrammi che si susseguono come un insieme di fotografie meravigliosamente curate, perfette copie delle tante fotografie storiche di Marilyn. Purtroppo, nulla più di questo. Dominik vuole portarci dentro la vita di Norma Jane, vuole farlo disperatamente e lo si capisce dalla scelta di usare un registro piuttosto duro e immediato, ma questo lodevole intento cozza poi con le scelte poco accurate fatte nel film. Marilyn ci viene descritta come un’ingenua e fragilissima donnetta, un’eterna bimba sempre alla ricerca di una figura maschile alla quale aggrappare ogni speranza e dalla quale ricevere protezione e approvazione.

Il che, probabilmente, risulta abbastanza attinente alla realtà, ma dopo tre ore di film in cui non si vede altro che una donna distrutta e completamente in balìa degli eventi, viene da domandarsi come diavolo abbia fatto a diventare la donna più acclamata, desiderata e imitata del mondo intero. Norma Jane non era Marilyn Monroe, questo è il leit-motiv del film. Ma è davvero così? Senza Norma Jane, senza la sua disperata voglia di riscatto, senza quel desiderio di dimostrare che dietro quell’immagine da calendar girl c’era molto di più, non sarebbe mai esistita Marilyn Monroe.

Perché nella bellissima, impeccabile e divina Marilyn, non c’era solo una remissiva e vulnerabile biondina americana, c’era anche una donna determinata a dimostrare al mondo il suo valore, quello stesso valore che troppe volte era stato messo in discussione, sin da bambina. Una donna che all’apice della carriera, quando già il mondo la acclama e la considera una diva, decide di prendere lezioni di recitazione all’Actor’s Studio di Lee Strasberg, mettendosi completamente al servizio di un mestiere che, senza dubbio, amava profondamente e attraverso il quale cercava la sua rivalsa.

Perciò, va bene farci vedere il tormento e la fragilità emotiva al limite del sopportabile, va bene disturbare lo spettatore e smuovere in lui sentimenti di disgusto e di rabbia per le ingiustizie che la protagonista subisce durante tutta la sua vita, ma il troppo stroppia e si finisce inevitabilmente per perdere ogni connessione con la realtà. E la realtà è che questa donna, così disperatamente fragile, non è finita a fare la prostituta per pochi dollari che, nel silenzio della sua misera casa, gioca a fare la diva. Norma Jane è diventata Marilyn Monroe, perché l’una non avrebbe senso senza l’altra.

Perciò, se è vero che Blonde si pone come fine ultimo quello di raccontare la ragazza americana dietro la star, è anche vero che per farlo, non può scindere in maniera così netta le due personalità. La bambina abbandonata e spaurita è stata la linfa vitale che ha dato origine alla stella più luminosa che il mondo avesse mai visto. Nella Norma Jeane raccontata in Blonde, manca la consapevolezza che inevitabilmente questa donna aveva raggiunto, che viene sacrificata in nome di una inverosimile ingenuità verso il mondo intero, uno stupore continuo e poco credibile per ogni sgarbo e ogni sopruso subìto. Anche quando questi sono all’ordine del giorno.

Paradossalmente, il risultato del film è una storia troppo fantasiosa e costruita, che non rende giustizia come dovrebbe, al cammino difficile e sofferto che Norma Jeane Baker ha fatto per diventare Marilyn Monroe.

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