Anche durante la campagna elettorale il Reddito di Cittadinanza (RdC) continua ad essere oggetto di viva attenzione, come se i problemi che ci attendono dipendessero tutti dalla sua esistenza o dalla sua cancellazione. Voglio, quindi, provare a dedicare alcune riflessioni sullo strumento e sulle polemiche elettorali che lo coinvolgono per verificare quanto, sulla base di dati reali, queste siano fondate.

Chi è a favore e chi è contro il RdC?

Vorrei partire dalla constatazione che, cercando di individuare i partiti a favore e quelli contro il RdC, lo scontro dialettico finisce con un risultato di 7 a 3 per i favorevoli (Azione-Italia Viva/Pd/ M5S/Unione Popolare/Verdi e Sinistra/+Europa/Italexit) sugli sfavorevoli (FdI/Lega/Fi). È vero che all’interno della “squadra” dei favorevoli si trovano alcune posizioni differenziate, ma ciò che conta è che la stragrande maggioranza sostiene, con alcuni distinguo, la misura. Insomma, si tratta di una vittoria così netta che non si comprende perché la discussione sia così accesa. Ultimo esempio è la lite tra Cangini e Lezzi e quella tra Conte e Renzi: forse qualcuno dovrebbe ricordare a Cangini e Renzi che la loro coalizione è a favore del RdC. In realtà, si tratta di uno strumento di pura propaganda politica, poiché, criticando il RdC, si cerca di mettere a tacere uno specifico movimento politico e contestualmente di tacciare tutti gli altri sostenitori come miseri succubi del M5S.

Passando ad un’analisi delle critiche vorrei dimostrare che queste si basano su argomenti stereotipati e, soprattutto, non provati: ho sempre odiato gli slogan che cercano di semplificare in poche parole temi complessi.

Una verifica delle critiche

Di fronte a queste discussioni, vorrei provare a fare un’analisi un pochino più scientifica delle critiche, partendo da un’applicazione analogica del modello di Gary Becker, per cui ciascun individuo, prima di intraprendere un’azione, farebbe un puntuale raffronto tra i possibili benefici di tale scelta con i costi ad essa connessi, secondo un tipico approccio microeconomico di costo-opportunità. Ogni persona cerca, cioè, di massimizzare il proprio benessere. Ciò accade anche per il percettore del reddito, che si comporta secondo un modello matematico, rappresentato dalla formula EU=pU (W0- F) + (1-p) U(W0+G), dove:

1. (p) rappresenta la probabilità di essere scoperto e punito, cioè di veder revocata la misura o di subire azioni di recupero coattivo;
2. (W0) la ricchezza attuale senza RdC;
3. (F) l’asprezza della sanzione attesa;
4. (G) il guadagno derivante dall’aver chiesto il RdC, cioè ciò che si aggiunge alla sua ricchezza di partenza.

Sappiamo che W0, perché queste sono le condizioni di accesso al RdC, è pari a un reddito sotto la soglia di povertà (euro 780 mese, cioè 9.360 anno) e che G corrisponde, sulla base dei dati dell’Osservatorio statistico dell’Inps pubblicati il 18 agosto 2022 (Tavola 1.5), a 582,13 euro (valore medio mensile). In sostanza il percettore del reddito raggiunge, nella migliore delle ipotesi, un vantaggio dato da W0 + G (780+582,13) = euro 1.362,13.

La prima critica: il RdC agevola atteggiamenti parassitari

Secondo gli oppositori del RdC gli importi erogati con il reddito sarebbero tali da indurre le persone che ne beneficiano a non fare nulla, potendo, grazie a tale misura (cioè a W0 + G), affrontare serenamente il costo medio mensile delle spese necessarie a vivere. Solo così sarebbe spiegabile un presunto atteggiamento passivo, visto che il percettore, una volta in grado di avere una ricchezza pari al costo medio della vita, accetterebbe il rischio di correre sanzioni (F) e non avrebbe alcuno stimolo nell’attivarsi nella ricerca di un lavoro. Questa critica è però smentita dal fatto che, secondo i dati Istat, una persona singola mensilmente necessita di euro 1.730,23 (se ha tra i 18 e i 34 anni) e di euro 1.957,40 (se ha tra i 35 e i 64 anni) o di euro 2.946,07, se fa parte di una coppia con un figlio. Evidente quindi che il percettore, quale essere razionale, non raggiungendo i livelli di ricchezza necessari per affrontare il costo medio della vita, non può permettersi di non fare nulla, perché W0 + G è assolutamente inferiore ai costi medi della vita.

La mancata attivazione nella ricerca di un’attività lavorativa ha quindi radici diverse, legate all’inefficienza delle nostre politiche attive e alla scarsa qualificazione del percettore, e non sono certamente legate alla totale e certificata pigrizia di tutti i soggetti tutelati dal reddito.

La seconda critica: la presunta assenza di sanzioni

La seconda critica si basa sull’idea che in ogni caso, anche se il percettore non raggiunge una ricchezza sufficiente ad affrontare il costo medio della vita, è comunque indotto a chiedere il RdC perché tanto non corre alcun rischio, visto che (p), cioè la probabilità di essere scoperto e punito, sarebbe nulla, a prescindere da (F), cioè l’asprezza della sanzione attesa. Anche tale assunzione si basa su affermazioni prive di riscontro: sempre sulla base dei dati dell’Osservatorio statistico dell’Inps emerge come (tavola 1.3) dal 2020 al luglio 2022 vi siano state 981.557 tra revoche e decadenze. Ciò a conferma dell’esistenza di (p) e della sua concreta applicazione.

Conclusione

Il reddito è una misura di inclusione sociale di cui non possiamo fare a meno, se non correndo il rischio di abbandonare le 3.350.771 persone che tra gennaio e luglio 2022 hanno beneficiato di almeno una mensilità di reddito. È certamente migliorabile (secondo le indicazioni della prof. Chiara Saraceno), ma il tema centrale rimane quello di vere politiche attive che rendano la misura un sostegno temporaneo per tutte le persone che ne beneficiano.

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