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Emanuele Crialese parla della sua transizione: “Psicoterapeuti di ogni tipo hanno cercato di correggermi. Tentai il suicidio, ora sento una comunione tra me e gli altri”

Dopo la partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia con “L’immensità”, film che vede protagonista Penelope Cruz, Crialese apre il cassetto del passato per raccontare la sua storia. “Si è trattato di una scelta artistica e politica - afferma in un’intervista per il Corriere della Sera riferendosi al coming out- Perché come essere umano, e come cittadino, mi sento oppresso da questa atmosfera pervasiva di paura"

di Gianpiero Pisanello

Il coming out non l’ho fatto a Venezia una settimana fa, l’ho fatto a 23 anni”. Ora, che di anni ne sono passati 34, il regista italiano Emanuele Crialese (57 anni) parla per la prima volta pubblicamente della sua transizione di genere. Dopo la partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia con “L’immensità”, film che vede protagonista Penelope Cruz, Crialese apre il cassetto del passato per raccontare la sua storia. “Si è trattato di una scelta artistica e politica – afferma in un’intervista per il Corriere della Sera – Perché come essere umano, e come cittadino, mi sento oppresso da questa atmosfera pervasiva di paura. Io non ho paura, anche se so di appartenere a una categoria di persone tra le più attaccate. So anche, però, che questo tipo di informazione non dovrebbe interessare a nessuno, perché non è inerente all’opera. Ho girato film che hanno come denominatore comune la marginalità, è quello il mio tema. Mi rifiuto di guardare al mondo sotto un profilo classificatorio”.

Il percorso del regista è stato graduale ma deciso ed è avvenuto più di trent’anni fa. La sua transizione non era mai stata raccontata pubblicamente ma agli affetti familiari e agli amici sì: “Io non l’ho resa pubblica nel pubblico ma l’ho resa pubblica nel privato – dichiara nell’intervista a Paolo Giordano – Oggi sento una responsabilità nei confronti di tutte le famiglie e di tutte le persone che stanno intraprendendo questo percorso. Al tempo stesso continuo a pensare che l’artista debba celarsi dietro l’opera, non essere rivelato. Che il suo bozzolo nutritivo debba restare il più possibile intatto”. Il suo percorso di transizione ha avuto inizio all’età di vent’anni, nella sua Roma, in completa solitudine. “In quel momento – confida – mi ero autoescluso dalla famiglia, perché la situazione era ingestibile. Mia madre non sapeva più dove sbattere la testa. Temevo che mi avrebbero ospedalizzato e che l’avrei accettato, perché per amore avevo già fatto cose simili. Dai 14 anni ero stato in cura da psicoterapeuti di ogni tipo, cercavano di correggermi, di pacificarmi, e io invocavo lo stesso con le mie preghiere”. Fu Raffaella Carrà a “salvarlo” e a donarli un raggio di speranza in un percorso buio e tortuoso: “Intervistava la prima persona in transizione che io abbia mai visto. Era di spalle, e più avanti l’avrei conosciuta e frequentata. È stata una catarsi. Quindi non ero pazzo. E dovevo trovare la forza di intraprendere un cammino, anche se tutti i miei affetti lo vedevano come una via per l’autodistruzione”.

E di periodi oscuri Emanuele Crialese ne ha passati, come quando, a sedici anni, tentò il suicidio prima di abbandonare l’Italia per trasferirsi negli Stati Uniti: “Fu il mio primo atto come Emanuele e l’ultimo atto prima di lasciare l’Italia. Ogni individuo ha una storia a sé. Ognuno arriva dove può e dove vuole. La fatica comune è nell’accettare di essere unici e quindi, forse, non appartenenti. Non vere donne, non veri uomini. Altro. Questo crea smarrimento. Da l’idea di un cupio dissolvi, ma è la realtà, anche biologicamente. E tuttavia, come si può avere un rapporto sano con la realtà se tutto quello che ti viene rimandato da fuori è non-conformità? Ti viene detto: o sei maschio o sei femmina, scegli! Ti viene detto: ‘spiegati, perché se non sei conforme, devi spiegarti’… E se io dicessi semplicemente: Sono ciò che sono?”. La rivelazione pubblica del suo percorso è motivo di forza, che lo fa andare avanti con più sicurezza. “Per la prima volta ho sentito una comunione tra me e i membri della mia famiglia, tra me e gli altri che è stato improvvisa, un salto quantico. Mi sono ritrovato in un altrove”.

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