di Andrea Lo Verme

Dal mese di giugno in Pakistan si sono succeduti già otto cicli di monsoni al posto dei normali tre o quattro. La piovosità di questa stagione monsonica, la cui durata è da maggio a settembre, è già di 390 mm, quasi tripla rispetto quella media di 135 mm annui. Ciò ha determinato super-inondazioni che hanno provocato in tre mesi più di mille morti, di cui 300 bambini, raccolti sommersi da un metro di acqua (un terzo dell’intero Paese risulta coperto; ci sono scene da diluvio universale), milioni di capi di bestiame annegati, case e strade distrutte e ponti crollati in un Paese già povero di suo. Gli sfollati sono 33 milioni in 72 distretti su una popolazione di 220 milioni. La regione più colpita è quella della provincia meridionale del Sindh. I soccorsi sono lenti e il rischio di una immane carestia si profila in queste terre. Certo, i venti monsonici (dall’arabo mawsim, stagione) fanno parte delle dinamiche climatiche dell’Oceano Indiano e da sempre influenzano fortemente il clima del subcontinente indiano.

Anche in altre parti del globo esistono, ma c’è da dire che in Asia sono molto più intensi. I monsoni danno origine a due sole stagioni: una secca in inverno e l’altra umida d’estate. In inverno l’oceano è più caldo e quindi l’aria sottostante risale creandosi un vuoto che risucchia aria fredda e secca dall’entroterra, cosicché il periodo è caratterizzato da siccità. D’estate avviene esattamente il contrario. L’entroterra riscaldato dal sole risucchia aria umida dall’oceano e quindi si creano le abbondanti precipitazioni. Va da sé che quando in estate, come questa attuale in Pakistan, si hanno temperature superiori ai 50°C, tanto che sono aumentati i ricoveri per malori e colpi di sole fra la popolazione, l’energia che si crea sull’oceano è terrificante, e questa determina piogge altrettanto terrificanti. È strano che nei tg si stia parlando poco di questa tremenda inondazione. Purtroppo, continuando ad emettere CO2 nell’atmosfera ai ritmi attuali, i cambiamenti climatici subiranno accelerazioni imprevedibili, altro che adoperarsi per invertirli!

Con l’aumento della temperatura media del nostro pianeta, fenomeni estremi come questi accadranno sempre più spesso e sempre con intensità più estrema. Che poi tali fenomeni vadano a colpire Paesi che di industrializzato hanno ben poco, come il Pakistan o altri Paesi poveri, non significa che i cambiamenti climatici non siano i responsabili! Questa è una facile scappatoia per negazionisti, ma la realtà è che i fenomeni naturali sono legati tra di loro in tutto il pianeta. Semplicemente il riscaldamento globale colpisce maggiormente le zone più a rischio. Come a rischio è anche l’Italia, perché si trova al centro dell’hotspot climatico, un termine (punto di accesso, come l’hotspot wi-fi), per definire i cambiamenti climatici del mare Mediterraneo, dove sono più repentini per una serie di cause. E ne abbiamo fin troppe evidenze, purtroppo: siccità e caldo prolungato e conseguenti tifoni e piogge torrenziali.

Però da noi si comincia a riconsiderare l’uso del carbone per ovviare in parte alla crisi energetica che sta colpendo l’Europa in seguito all’invasione di Putin dell’Ucraina! Immettiamo ancora CO2 nell’atmosfera invece di diminuirla, fino ad azzerarla entro il 2050 – come concordato nelle varie Cop, conferenze annuali delle parti sui cambiamenti climatici e sui possibili rimedi. Possibile che in nome del pragmatismo politico non si debba fare tesoro della memoria, ripetendo sempre gli stessi sbagli invece che contribuire con una visione lungimirante sui problemi? Una visione che eviti ogni volta di trovarsi impreparati di fronte alle emergenze. Che poi combattere i cambiamenti climatici non è un’ideologia, ma una realtà e una necessità improcrastinabile di tutta l’umanità.

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