In Cile ieri ha vinto il rechazo (No) alla nuova Costituzione, quella nata dai lavori della Convenzione costituente che a sua volta era sorta dopo i tumulti che sconvolsero il paese nel 2019. Era nell’aria, già lo dicevano i sondaggi, ma il risultato del referendum di ieri è comunque pesante, indigesto per chi voleva porre la parola fine alla transizione democratica più lunga dell’America Latina. Un risultato inequivocabile: il 62% dei cileni ha votato “no” e solo il 38% ha votato “sì”. Numeri che obbligano il governo a riflettere e cercare immediatamente una strategia che permetta di non far morire il progetto di una Carta Magna che sostituisca quella dell’epoca di Pinochet (1978).

Ci sarebbe stato comunque un rimpasto di governo qualunque fosse stato il risultato ma adesso i cambi dovranno essere sostanziali. Il presidente cileno, Gabriel Boric, aveva dichiarato a poche ore dal voto che qualunque fosse stato il risultato l’unità nazionale sarebbe stata indispensabile per avanzare verso un nuovo Cile: ora gli sforzi dovranno essere ancora più grandi e dovranno essere fatti in parlamento con tutte le forze politiche. Quando oramai era chiaro che quasi otto milioni di cileni avevano bocciato il progetto queste sono state le sue parole: “L’anelito al cambiamento e alla dignità richiedono alle nostre istituzioni e agli attori politici di lavorare con più impegno, dialogo, rispetto e affetto, fino ad arrivare a una proposta che ci interpreti tutti. Eccoci qui. Viva la democrazia e viva il Cile!”

Festeggiano le destre, José Antonio Kast in testa (il candidato presidenziale dell’estrema destra sconfitto nelle presidenziali da Boric) che si appuntano sul petto la medaglia della sconfitta di un testo costituzionale visto come troppo di sinistra e di fatto “partorito” da una Costituente dove le forze conservatrici erano netta minoranza. La loro campagna fatta di allarmismo, fake news e discredito verso il nuovo testo costituzionale, insieme a vari scandali che hanno colpito membri della Costituente (uno su tutti quello di Rodrigo Rojas Verde che si inventò di essere malato di cancro), hanno creato la tempesta perfetta.

A questo si aggiunge il fatto che molte proposte presenti nel nuovo testo di 178 pagine, 388 articoli e 54 norme transitorie (consegnato il 4 luglio scorso al governo) sono state viste come estreme, a tal punto che lo stesso Boric aveva annunciato già dell’esistenza di un piano di revisione nel caso in cui ieri avesse vinto il “sì”.

La chiusura della campagna per apruebo (il “sì” alla nuova Costituzione) che aveva convocato venerdì scorso 500 mila persone a Santiago aveva fatto credere che il Paese fosse pronto al cambiamento. A maggior ragione poi se si considera che la manifestazione convocata dalla destre per lo stesso giorno era riuscita a portare in piazza meno di mille persone. I sondaggi davano però già la sconfitta come un fatto più che probabile lasciando aperta solo una finestra di incertezza: per la prima volta tutti gli aventi diritto al voto in Cile sono stati obbligati a votare. Non obbligati a votare erano invece i cileni residenti all’estero, che però hanno espresso in massa la loro preferenza per apruebo, creando una frattura con quanto invece successo sul territorio nazionale.

“E’ tornato l’inverno in Cile”, ha dichiarato la sindaca comunista di Santiago, Irací Hassler Jacob, che ha fatto eco a Gabriel Boric in un messaggio su Twitter nel quale sottolinea che “Uomini e donne cilene si sono espresse chiaramente in un processo democratico: il testo proposto non ha ottenuto il sostegno della maggioranza. Il risultato ci sfida come Paese a costruire una nuova Costituzione che ci rappresenti pienamente, e per questo la strada è più democrazia.”

Non sono mancate anche la ripercussioni dal resto dell’America Latina, sia da una parte che dall’altra della sfera politica. In Colombia per esempio il neoeletto presidente Gustavo Petro è stato lapidario: “E’ risorto Pinochet” ha scritto sulle sue reti sociali, dove ha chiamato a una mobilitazione unitaria del fronte progressista latinoamericano citando tra le righe Allende e sottolineando che “solo se le forze democratiche e sociali si uniranno sarà possibile lasciarsi alle spalle un passato che macchia tutta l’America Latina e aprire le grandi vie della democrazia”. Iván Duque, che proprio a Petro ha ceduto la guida della Colombia, ha invece gioito per il “no”, dichiarandosi felice per il trionfo del buonsenso in Cile.

C’è poi chi sostiene che il voto di ieri non sia stato solo un voto al nuovo testo costituzionale ma anche un vero e proprio voto di approvazione o meno verso l’attuale governo di Boric. Secondo questa lettura il consenso verso le sue politiche sarebbe meno del 40%, molto vicino al voto ottenuto dall’apruebo. Quale che sia la lettura o analisi che si voglia fare del risultato di ieri rimane una certezza: ancora un volta il Cile è stato un esempio di democrazia partecipativa e il processo di riforma e transizione democratica per lasciarsi alle spalle l’epoca di Pinochet non è ancora finito.

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