di Giovanni Casciaro

Il 26 agosto si è chiusa a New York la decima conferenza sul Trattato di non proliferazione nucleare (Npt), che, firmato il 1° luglio 1968, disciplina l’intero settore nucleare. Non è stato raggiunto alcun accordo. “Non siamo riusciti a trovare l’unanimità necessaria”, è stata l’affermazione amareggiata del presidente della conferenza, Gustavo Zlauvinen. E questo è accaduto malgrado la consapevolezza del grave rischio insito nelle armi nucleari, come ribadito, anche in questa occasione, dal Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres: “Basta un errore di calcolo per l’annientamento nucleare”.

La conferenza ha registrato la partecipazione dei delegati di 191 Stati, impegnati a stabilire un programma di azione per il prossimo quinquennio e ad affrontare la questione della proibizione sia dell’uso che della minaccia dell’uso dell’arma nucleare. È stata seguita da varie organizzazioni della società civile, che hanno fatto varie proposte e si sono espresse a favore di un rafforzamento del trattato, principale baluardo contro la diffusione delle armi nucleari nel mondo.

Fra le tante sollecitazioni emerse vi è stata la richiesta dell’adozione del principio di “Non Primo Uso”, avanzata dal presidente della Soka Gakkai International, un’organizzazione buddista globale con oltre 12 milioni di membri in tutto il mondo, che promuove la pace, la cultura e l’educazione incentrate sul rispetto della dignità della vita. Sulla base di tale principio, una potenza nucleare si impegna a non utilizzare armi nucleari come mezzo di guerra a meno che non venga prima attaccata da un paese nemico con armi nucleari. L’adozione di una politica di “Non Primo Uso” migliorerebbe in maniera significativa il clima di sicurezza globale, rafforzando l’orientamento secondo cui le armi nucleari non devono mai essere impiegate, riducendo l’incentivo a costruire arsenali nucleari. Purtroppo tale misura non è stata adottata.

Vi è stata inoltre una forte mobilitazione delle organizzazioni aderenti alla Campagna Internazionale per la messa al bando delle armi nucleari (Ican), che hanno promosso iniziative per far pressione affinché tutti gli stati condannino “le recenti minacce di utilizzare armi nucleari, l’aumento e la modernizzazione degli arsenali nucleari e il ruolo accresciuto delle armi nucleari nelle dottrine di sicurezza”. Anche questa richiesta non è stata raccolta. Inoltre si sono rivelate un ostacolo, all’accettazione da parte russa del documento finale, i riferimenti relativi al contesto della recente invasione dell’Ucraina, in particolare alle questioni inerenti la sicurezza della centrale di Zaporizhzhia.

La conferenza ha registrato in generale un mancato impegno da parte delle potenze atomiche di fare passi avanti nel disarmo nucleare e si è conclusa quindi senza alcun accordo; non è stata adottata alcuna misura che potesse far avanzare il disarmo nucleare. Tuttavia non bisogna dimenticare che quest’anno vi è stato un forte progresso relativo al Trattato di messa al bando delle armi nucleari (Tpnw), entrato in vigore nel gennaio 2021 e ad oggi ratificato da 66 Paesi. Gli Stati parti del Tpnw, a giugno, si sono impegnati nel Piano d’azione di Vienna, hanno stabilito passi concreti per far progredire il disarmo, aiutare le vittime dell’uso e dei test nucleari e condannare qualsiasi minaccia di usare armi nucleari.

Come ricorda Ican, il disarmo nucleare è oggi quindi possibile. Quei paesi che non sono riusciti a compiere progressi durante la Conferenza di revisione del Npt e che vogliono porre fine alla minaccia nucleare, possono unirsi al Tpnw. Le armi nucleari sono un problema globale impellente, come il cambiamento climatico e le malattie pandemiche, e perciò richiedono una soluzione globale urgente. Resta alla società civile, a noi tutti, il compito di sollecitare un percorso di avanzamento verso il disarmo nucleare per tutti i Paesi, compresa l’Italia.

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