La notizia del tentativo di riavvicinamento tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’omologo siriano Bashar al-Assad ha messo in allarme le milizie cooptate da Ankara e ostili al regime di Damasco attive nel nord del Paese, ma non tutti hanno accolto negativamente l’apertura turca. Mentre centinaia di manifestanti si sono riversati per le strade delle città controllate dalla Turchia, tra cui al-Bab, Afrin e Jarablus, nella roccaforte di Idlib le parole del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, sulla necessità per regime e opposizione di trovare un punto di incontro hanno avuto una diversa risonanza. Per il leader del movimento salafita Hayat Tahrir al-Sham, Abu Mohammed al-Julani, il cambio di passo di Ankara potrebbe essere persino una buona notizia. Al-Julani infatti sta portando avanti da tempo un’operazione di rebranding del gruppo estremista per potersi presentare agli occhi della comunità internazionale come una forza moderata ed essere così coinvolto nelle decisioni sul futuro della Siria.

Per potersi sedere al tavolo dei vincitori, però, al-Julani deve prima di tutto convincere gli Usa ad eliminare Hts dalla lista delle organizzazioni terroristiche, operazione non semplice data la storia del gruppo e del suo stesso leader. Hayat Tahrir al-Sham nasce nel 2017 dalla fusione tra il Fronte al-Nusra, costola di al-Qaeda in Siria guidata proprio da al-Julani, e il Fronte Ansar al-Din. Dopo una prima fase di coordinamento con il nascente Stato Islamico, poco dopo lo scoppio della guerra civile siriana, al-Nusra prende ufficialmente le distanze dal Abu Bakr al-Baghdad e giura ufficialmente fedeltà al leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, in virtù anche dei rapporti personali che quest’ultimo intrattiene con al-Julani. Nel 2016 però l’alleanza si rompe, al-Nusra cambia nome in Jabhat Fatah al-Sham e i suoi miliziani si trasferiscono nella provincia di Idlib, dopo aver abbandonato la città di Aleppo precedentemente sottratta al controllo governativo. L’arrivo nel nord della Siria coincide con una nuova fase di crescita del gruppo: Jabhat Fatah al Sham dà vita a una lotta per il potere che termina con l’adesione al gruppo di altre fazioni estremiste ugualmente presenti a Idlib e con un nuovo cambio di nome. Il movimento di al-Julani diventa così Hayat Tahrir al-Sham e inizia ad imporre il suo controllo sulla regione a discapito di altre forze cooptate da attori esterni, tra cui la Turchia.

Il continuo cambio di nome però non è sufficiente per evitare l’inserimento nella lista delle organizzazioni terroristiche degli Usa. Le atrocità commesse da Hts contro i civili e il ricorso agli attacchi kamikaze, oltre all’adesione a ideologie estremiste, hanno isolato il gruppo a livello internazionale e condannando Hts all’irrilevanza sul piano politico. Al-Julani però ha capito da tempo che il solo predominio militare sulla regione di Idlib non è sufficiente per avere voce in capitolo sul futuro della Siria. Da qui l’impegno nel presentare Hts come un movimento moderato, aperto al dialogo e rispettoso delle minoranze religiose precedentemente oppresse dallo stesso gruppo. A inizio del 2021, al-Julani ha sorpreso tutti rilasciando la prima intervista ad un media americano con indosso degli abiti occidentali, in un primo tentativo mediatico di ripulire l’immagine di Hts. Più di recente, il leader del movimento salafita ha incontrato i rappresentanti della comunità cristiana di Idlib per promettere loro una maggiore tutela dei diritti e persino la restituzione delle proprietà che erano state loro sottratte negli anni precedenti dai suoi stessi miliziani. Sempre in un’ottica di rebranding, al-Julani nei mesi precedenti ha anche consegnato al governo di Ankara alcuni foreign fighters legati all’Isis o ad altri gruppi estremisti siriani che erano stati catturati a Idlib e ha allontanato dal gruppo i soggetti più estremisti e apertamente critici nei suoi confronti.

Per il momento i risultati raggiunti da al-Julani sono stati limitati, ma una eventuale riconciliazione tra Assad ed Erdogan potrebbe giocare in favore del gruppo. Il presidente turco ha tutto l’interesse a sostenere il dialogo tra il regime e le forze di opposizione, come detto chiaramente dal suo ministro degli Esteri, così da poter imporre la propria agenda e influenzare il processo politico. A tutto vantaggio anche di Hts. Il gruppo in realtà non è alle dirette dipendenze della Turchia, ma negli ultimi anni ha mantenuto un canale di dialogo aperto con Ankara e con le altre milizie da lei controllate, alternando fasi di scontro per il controllo territoriale del nord ad altre di coordinamento in operazioni militari contro i civili e le forze curde. Nonostante i rapporti altalenanti, Erdogan sa bene che il rebranding di Hts, oltre che dei gruppi che è riuscito a cooptare, può essere un utile strumento di influenza nel processo di pace. Dietro questa operazione di ridefinizione dell’immagine, però, continuano a esserci soggetti che negli ultimi undici anni hanno massacrato civili e perseguitato le minoranze religiose della Siria, diffondendo una versione dell’Islam estremista e imponendo il proprio volere con la violenza. Queste stesse persone nel prossimo futuro potrebbero quindi sedere al tavolo delle trattative per la ricostruzione della Siria anziché affrontare dei processi per le atrocità da loro commesse. Con buona pace delle vittime di una guerra che di cui non si vede ancora la fine.

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