Non fateci promesse di aumento dello stipendio, vi prego: dateci il “cartellino”. In questi giorni si è parlato e sparlato di adeguare la retribuzione dei nostri stipendi da insegnanti a quelli europei. Tutti si danno un gran da fare per fare questo annuncio nella speranza di conquistare il voto degli 800mila docenti italiani.

Andrea Gavosto, direttore della fondazione “Giovanni Agnelli” e attento osservatore del panorama europeo, nei giorni scorsi su La Repubblica è intervenuto con un ragionamento che va oltre la propaganda politica ma che ha una grave pecca: Tra scuola e casa, gli insegnanti italiani dichiarano di lavorare (dati Ocse Talis) 26 ore alla settimana, contro una media europea di 33 ore. Di sicuro, l’insegnante coscienzioso ne fa ben di più, ma siamo certi che non ci sia chi si limita al minimo sforzo, senza che preside, colleghi o famiglie possano lamentarsene? Nel resto d’Europa, queste attività sono disciplinate da contratto e svolte in genere a scuola, con un impegno lavorativo settimanale di fatto a tempo pieno (35 ore in Francia, 38 in Spagna, 40 in Germania).

Tutto fila. Anzi, in Italia la maggioranza degli italiani è convinta che il maestro e il professore entrino in classe e inizino a far lezione dopo aver bevuto il caffè e letto il giornale. Non solo. Il mantra del “fate tre mesi a casa” è il cavallo di battaglia dei detrattori della scuola. Aggiunge Gavosto: I nostri insegnanti dovrebbero ricevere salari europei e lavorare secondo orari europei: trascorrendo più ore a scuola (in spazi che vanno adeguati e resi più ospitali) a svolgere le attività che permetterebbero di migliorare la qualità degli apprendimenti, in Italia così deficitaria.

La pecca del mio caro amico Andrea (non me ne voglia) è che frequenta poco la vita di ogni giorno nella scuola. Sono d’accordissimo: dovremmo fare molte più ore a scuola; a studiare; a preparare le lezioni; a fare ricerca. Ma dove? E soprattutto quando? Nel plesso dove insegno non esiste un’aula docenti ma uno spazio esiguo dove ci stanno la collaboratrice scolastica; un paio di stampanti; due o tre personal computer; le mascherine non usate e chi più ne ha più ne metta. Nella maggior parte dei nostri istituti non ci sono aule dedicate agli insegnanti comode ed efficienti. Gavosto (e con lui i politici che blaterano di aumento di stipendio) ha in mente le scuole del Nord Europa e le rare esperienze italiane. E poi: che computer abbiamo? Esiste una biblioteca scolastica in ogni scuola dove il docente può trovare materiale sul quale studiare? Nulla di tutto ciò. Solo utopia.

E poi vogliamo parlare del “quando”? Lo sa Gavosto che oltre alle attività di programmazione e le riunioni, tocca a noi insegnanti organizzare il viaggio d’istruzione studiandolo, prendendo contatti, preoccupandosi dei genitori che non pagano in tempo, dei bambini che dimenticano la sacrosanta autorizzazione? Lo sa Gavosto che a ogni fine campanella c’è la mamma di Fabio che ti deve parlare urgentemente perché oggi dovrà andare dalla zia a Sesto San Giovanni e non potrà farei i compiti? Lo sa Gavosto che a ogni fine campanella c’è la mamma di Augusta che ti deve parlare urgentemente perché proprio ieri è morta la nonna e la bimba è devastata? Lo sa Gavosto che a ogni suono di campanella c’è il papà di Nicholas che si dimentica di venirlo a prendere e tu resti anche trenta minuti ad aspettarlo? Lo sa Gavosto che oltre al collegio docenti c’è quel corso di formazione non obbligatorio ma che il preside caldeggia di fare? Lo sa Gavosto che nella scuola si è tornati alle riunioni in presenza e ci sono docenti che devono farsi 30-40 chilometri perdendo tempo perché al preside piace così?

Ora io la soluzione ce l’ho: non aumentateci lo stipendio così, ‘tanto per’, ma dateci il “cartellino”. Ce l’hanno tutti: gli infermieri; gli spazzini; i medici; gli impiegati di banca. Gli unici a non averlo sono i docenti e i preti. Forse perché oggi si continua a scambiare la professione dell’insegnante con una missione.

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