Ripristinare l’immunità parlamentare, cioè il divieto di indagare deputati e senatori (e di eseguire le sentenze di condanna definitive nei loro confronti) senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. È l’idea lanciata in un’intervista al Quotidiano nazionale da Carlo Nordio, ex magistrato candidato a Montecitorio per Fratelli d’Italia in Veneto e probabile futuro ministro della Giustizia in un governo di centrodestra. Il piano è di tornare alla formulazione originaria dell’articolo 68 della Costituzione, modificato nel 1993 limitando la necessità di ottenere il nullaosta delle Camere ai casi di perquisizioni, arresti (non in flagranza), intercettazioni e sequestro di corrispondenza. “Riconosco che andrebbe spiegata bene ai cittadini, affinché non sembri un privilegio di casta“, dice l’ex pubblico ministero a Venezia. “I padri costituenti l’hanno voluta proprio come garanzia dalle interferenze improprie della magistratura. Sapevano benissimo che qualcuno se ne sarebbe servito a suo vantaggio, ma hanno accettato il rischio, perché quello della sovrapposizione di poteri era enormemente maggiore, come poi si è dimostrato”.

Nel programma Nordio c’è anche la separazione delle carriere (“una conseguenza necessaria del codice del 1989 che ha recepito i principi del rito anglosassone”) e la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale: entrambi obiettivi a cui si sono avvicinate le riforme della ministra in carica Marta Cartabia, con il limite a un solo passaggio di funzioni tra giudici e pm e l’attribuzione al Parlamento della facoltà di individuare i criteri di priorità nelle indagini che le Procure dovranno seguire. La proposta di abolire l’obbligo del pm esercitare l’azione penale (cioè di aprire un fascicolo e indagare quando apprende una notizia di reato) peraltro non è contenuta nemmento nel programma sulla giustizia del centrodestra, mentre compare (seppur “de relato”) in quello della lista di centro di Matteo Renzi e Carlo Calenda, che in questo senso è ancora più radicale.

Nordio è favorevole anche all’inappellabilità delle sentenze di assoluzione lanciata da Silvio Berlusconi (e già dichiarata incostituzionale) e alla limitazione della custodia cautelare, che dice, “dovrebbe essere decisa non da un giudice monocratico, com’è il gip, ma da uno collegiale, magari lontano anche topograficamente dal pm che ha formulato la richiesta”. Poi chiede la “radicale eliminazione (…) di una serie di norme complesse e contraddittorie che paralizzano l’amministrazione: l’esempio più emblematico è il reato di abuso d’ufficio, per cui nessun assessore firma più con tranquillità o non firma affatto”.

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