di Giorgio De Girolamo e Lorenzo Tecleme

È estate, fa caldo. La crisi climatica aumenta la normale calura estiva e ci costringe a star al mare, se possiamo, o di fronte al ventilatore. Seguire la campagna elettorale in queste condizioni è già di per sé arduo. Farlo con una politica che parla solo di alleanze e seggi (a proposito, voi avete capito che composizioni troveremo sulla scheda?) è un’impresa eroica.

Dal 2019 riempiamo le piazze di ragazze e ragazzi preoccupati per temi di cui nessuno nei palazzi parla. Dal 2019 vediamo la politica dividersi tra chi ignora la crisi climatica e chi finge di occuparsene. Ma continuiamo. Perché abbiamo ragione, e perché un’estate di disastri – la siccità, la strage della Marmolada, gli incendi – ci ricorda che la polvere non potrà essere tenuta sotto il tappeto ancora a lungo.

Non abbiamo nulla da dire su liste ed alleanze – a chi ci propone endorsement di maniera rispondiamo col silenzio. Ma sui temi sì, abbiamo molto da dire. A partire da due proposte di buon senso, semplici, tutt’altro che radicali. Due idee non sufficienti a risolvere la crisi climatica e sociale, ma importanti. Soprattutto, due provvedimenti che potrebbero essere presi dal primo giorno d’insediamento del nuovo Parlamento.

Vi parliamo della gratuità del trasporto pubblico e dell’abolizione dell’aviazione privata.

Perché abbiamo bisogno del trasporto pubblico gratuito

Il trasporto pubblico gratuito è espressione di un’idea di società in cui la mobilità collettiva sia un’infrastruttura fruibile da tutti e in grado di essere un’alternativa conveniente a quella privata. Perché questo avvenga c’è bisogno sia di una gratuità finanziata mediante una contribuzione fiscale progressiva (perché non sono pochi quelli che comunque potrebbero permettersi un biglietto), sia di corposi investimenti che rendano il trasporto pubblico efficiente. Molte aree interne del paese, infatti, per la carenza dei trasporti che le isola dai centri urbani, non potrebbero beneficiare a pieno della gratuità.

Tale modello, ben lontano dall’immagine di un Paese della Cuccagna o di un mondus novus, è stato già sperimentato in Lussemburgo e in una regione della Repubblica Ceca prima della pandemia, e da ultimo, tra le misure di contrasto al carovita, anche in Germania (con il biglietto unico mensile da 9 euro per i treni), Spagna, Austria e Irlanda. Dove queste misure sono entrate in vigore, si è registrato un tendenziale aumento dell’utilizzo del trasporto pubblico, e una riduzione nel ricorso all’auto privata.

Oltre la crisi, però, quello del trasporto pubblico gratuito deve essere un modello da normalizzare per colpire uno dei settori che più conta per emissioni di CO2 (un quarto delle emissioni totali in Europa, di cui il 60% da auto private secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente), e un blocco di interessi economici, quello dell’automotive legato alla mobilità privata, pernicioso anche per i suoi piani di transizione di massa all’auto elettrica (insostenibile sostituzione di ogni auto a combustione interna con un’auto elettrica).

Dinanzi a questa idea di società, il contributo trasporti di 60 euro approvato con il decreto Aiuti del maggio scorso dal nostro governo, utilizzabile una sola volta per l’acquisto di un abbonamento mensile o annuale, oltre ad essere pensato solo come (insufficiente) sostegno ai redditi medio-bassi, è ancora legato alla logica del bonus inserita in un piano di mantenimento dello status quo tipicamente italiano. Al contempo in molte città italiane i biglietti di metro, treni e bus, registrano, anche se di qualche decina di centesimi, eloquenti aumenti.

Vietare i jet privati: un’idea di buon senso

Incentivare la mobilità a basse emissioni è un gioco win-win. Le persone risparmiano, i tumori e gli incidenti diminuiscono, le emissioni si abbassano. Ma rendere efficiente e gratuito il trasporto pubblico è solo metà del lavoro. Arrivare ad emissioni zero è impossibile senza far sparire quei mezzi che gettano CO2 a nastro in atmosfera. E le prime emissioni da far sparire sono le cosiddette luxury emissions, quei consumi utili non alla sussistenza di larghe fasce della popolazione, ma a svaghi ed eccessi di minuscole minoranze ricche. È il caso del mezzo di trasporto più impattante in assoluto: il jet privato.

Simbolo per eccellenza dello sfarzo (non c’è influencer che non ami farsi fotografare mentre sale a bordo del suo aereo), i jet privati sono in assoluto il modo peggiore per spostarsi. La pagina Instagram @jetdeiricchi, che monitora i voli delle persone più abbienti del nostro Paese, fornisce dei numeri impressionanti. Il jet individuato come “principalmente usato” da Diego della Valle, proprietario di Hogan e Tod’s, emette in 41 minuti di volo quanto una persona comune in un anno intero di trasporto. Per andare in vacanza, nel solo viaggio d’andata da Milano a Ibiza, il jet di Chiara Ferragni, Fedez e famiglia ha gettato in atmosfera quanto normalmente emetterebbero due persone in un intero anno per tutti i loro spostamenti.

I jet privati non hanno ragione di esistere. Non esiste modo di decarbonizzarli – non c’è un aereo elettrico – e qualunque altra maniera di spostarsi è meno impattante. La grande maggioranza dei voli privati, peraltro, è vuota (cioè con a bordo solo il pilota che va a prendere il passeggero dove si trova, a mo’ di taxi) e su tratte brevissime (molto frequenti in Italia i voli privati Roma-Milano) che potrebbero serenamente essere percorse con mezzi ad emissioni quasi zero – in primis il treno.

Vietarli sarebbe semplicissimo. Nessun inconveniente per la stragrande maggioranza della popolazione, nessun grande cambio di abitudini collettivo, nessun danno all’economia nazionale. L’indotto del settore, comunque assolutamente piccolo, può essere facilmente tutelato dallo Stato in modo tale che nessuno dei lavoratori coinvolti si ritrovi senza lavoro.

Piani per azzerare gradualmente i voli privati sono stati studiati da grandi partiti come il Labour britannico e da campagne come A Free Ride e Ban Private Jets. I mezzi e le risorse non mancano. Ma la volontà c’è?

Due proposte ma una sola idea

Per chiedere un radicale cambiamento di stile di vita ad ogni cittadino, non basta renderlo economicamente conveniente (attraverso investimenti e gratuità). Se tale richiesta convive con l’indifferenza dello Stato verso le sproporzionate emissioni dei più ricchi, emerge un ostacolo legato alla questione della giustizia. È la nota distinzione tra emissioni di lusso e di sussistenza (introdotta da Henry Shue nel 1993). Come si può chiedere uno sforzo notevole alla maggior parte della società quando permane una minoranza privilegiata che può emettere senza limiti e per futili ragioni? Non si può ignorare, inoltre, che lo stile di vita di tale esigua minoranza costituisce un parametro ideologico (e un obiettivo esistenziale) per gran parte delle classi subalterne, che saranno portate più a imitarlo che a condannarlo.

Rendere gratuito il trasporto pubblico e vietare l’aviazione privata sono quindi scelte complementari, semplici, di buon senso. Soprattutto possono essere attuate subito, dal primo giorno dopo le elezioni.

Qualcuno dei contendenti, una o uno tra Meloni, Letta, Conte, Salvini e compagnia, avrà il coraggio di farle proprie? Noi vi aspettiamo al varco. Con poca fiducia ma con tanta energia per continuare a lottare.

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