I 18mila casi registrati in 78 paesi e i 5 decessi, fino a una settimana fa, hanno spinto il direttore dell’Oms a dichiarare – anche con il parere contrario del comitato – l’emergenza sanitaria globale per il monkeypox o vaiolo delle scimmie. Allo stato il 99% dei casi riguarda maschi con un’età media di 40 anni che hanno avuto rapporti sessuali non protetti nella maggioranza dei casi multipli e con altri uomini ed è per questo che uno degli appelli rivolto è stato quello di contenere i comportamenti a rischio e limitare i partner sessuali. Il monkeypox comunque comincia a far paura perché è uscito dai confini dove è abitualmente registrato: gli Usa hanno nominato un coordinatore per la risposta nazionale e ieri anche in Italia è stata emessa una circolare da parte del ministero con una serie di raccomandazioni. Ma questo virus può davvero diventare la prossima pandemia da combattere? Secondo il professor Marco Rizzi, infettivologo del Papa Giovanni XXIII, la risposta è no. Ma è necessario “garantire e facilitare le diagnosi, anche senza prescrizione medica” e il monitoraggio.

Negli ultimi due mesi i casi sono aumentati e l’allarme anche. A che punto siamo?
Siamo ovviamente più ansiosi rispetto alle notizie che riguardano le malattie infettive. Adesso questa è una novità, ma non mi sembra un problema esplosivo. Va monitorato per decidere se varrà la pena di vaccinare chi è a maggior rischio. Tra il 2016 e il 2017 abbiamo avuto una epidemia di epatite A, ma dopo il picco con casi in Europa e nel resto del mondo, è rientrata. In quel caso vaccinando abbiamo ridotto la circolazione.

A proposito del vaccino, l’Oms invitata a segnalare l’efficacia. Ma un composto davvero efficace esiste?
L’unico che è registrato dall’Ema ha una buona evidenza di efficacia e di provata sicurezza. Al livello globale poi il problema, in caso di raccomandazione, potrebbero essere i grandi numeri perché non ne abbiamo tanti.

Il tema della prevenzione si accompagna alla garanzia di anonimato visto che si teme che il contagio possa creare uno stigma
All’inizio c’è stata questa riluttanza a essere espliciti nella comunicazione a partire dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Comunque siamo al punto in cui il 99% dei casi è riferibile a maschi con età media di 40 anni: e che sia una infezione che sta circolando essenzialmente nella comunità Msm è un dato. I casi al di fuori di questo contesto sono sporadici: rare le donne e i bambini. Bisogna garantire una facilità di accesso alla diagnosi per chi ritiene di essere stato infettato. Bisogna lavorare con le associazioni per avere un canale di comunicazione fluido. Una regola non c’è, esiste una rete per le malattie sessualmente trasmesse che lavora bene e si possono creare anche altri canali paralleli. Il problema è stato che la comunicazione non è stata molto esplicita dall’inizio. Bisogna lavorare su programmi a bassa soglia che permettano sia l’anonimato, sia l’accesso alla diagnosi senza prenotazione e senza prescrizione medica. Servono questi percorsi.

Ma rispetto a due mesi fa ci sono novità sostanziali?
No, il circuito è quello. La malattia nella stragrande maggioranza dei casi comporta pochi sintomi sistemici e rari casi gravi, spesso anche poche lesioni nelle zone genitali che sono atipiche rispetto al classico monkeypox. Si tratta di una malattia autolimitante senza conseguenze nella maggior parte dei casi.

Ma un reale rischio di diffusione nei bambini che torneranno a scuola esiste?
In questo momento segnali che si stia uscendo da questo circuito non ne abbiamo. Ovviamente sporadici casi pediatrici ci sono e chiaramente è una malattia che si trasmette anche da contatto stretto prolungato. La trasmissione per aerosol, se esiste, è marginale altrimenti avremmo altri numeri. Chi si è contagiato ha confermato l’assenza di protezioni e i rapporti sessuali multipli anche con sconosciuti.

Se un bambino è infetto e arriva in una classe c’è un rischio?
Teoricamente sì, se le lesioni sono su una parte di pelle non coperte. Intendo lesioni sul volto, sulle mani. Quindi il gioco, l’abbraccio, la vita scolastica nei bambini più piccoli possono portare alla trasmissione. Ma vediamo poche trasmissioni anche nei nuclei familiari quindi non è così facile. La diffusione viene sostenuta da altro.

L’uso del preservativo può garantire la protezione dalla malattia?
Non del tutto, la protezione non è totale come avviene per altre malattie sessualmente trasmissibile perché le lesioni possono essere a vario livello, in altre parte parti del corpo. Il condom riduce i rischi ma non risolve il problema.

Nella circolare del ministero si far riferimento anche al corretto smaltimento dei materiali per la medicazione e ai contatti gli animali
In teoria è quello che va raccomandato sempre al di là di questa circostanza. Sono norme doverose. Sappiamo che ci sono animali suscettibili, la raccomandazione è di stare attenti al contatto in presenza di lesioni e positività per la potenziale circolazione di specie diverse.

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