Il Pd e l’agenda Draghi, Salvini tra immigrazione e madonne, Berlusconi tra pensioni minime e nuovi alberi da piantare (con gaffe). E il Movimento 5 Stelle? Prova a tornare all’antico, allo spirito iniziale, all’era Grillo-Casaleggio. In una parola: a essere una forza antisistema. Dopo il silenzio delle ore immediatamente successive alla caduta del governo Draghi, le parole del fondatore nel video diffuso sabato sul blog hanno dato una chiara indicazione sul posizionamento del Movimento in vista delle elezioni del prossimo 25 settembre. In sintonia con le ultime uscite pubbliche del presidente M5s Giuseppe Conte: si punta tutto sull’unicità del Movimento. Per il fondatore non deve esserci nessuna deroga alla regola del doppio mandato, uno dei capisaldi della storia pentastellata, “una luce nelle tenebre” come lo ha definito Grillo nel suo videomessaggio. Una chiusura che nell’immediato potrebbe creare qualche problema all’ex premier, che dovrebbe privarsi di alcuni dei volti più rappresentativi, su tutti il presidente della Camera Roberto Fico. Ai più attenti, poi, non sarà sfuggito un altro passaggio nell’intervento del fondatore, quando ha parlato del Parlamento composto “da gente che è lì da 30 o 40 anni”, “con una visione vecchia”: “Cominciavamo ad essere dentro anche noi in quella visione, non ci distinguevi più dagli altri, pur essendo il gruppo più giovane”. Da qui la necessità di tornare all’antico, all’unicità degli inizi del Movimento, alla “politica come servizio civile”, motivo per cui – Grillo dixit – “sono tutti contro di noi, significa che abbiamo ragione”. Quindi organizzazione e temi cardine, per esigenze politiche e di consenso. Tradotto: le Cinque stelle.

In tal senso le parole di Grillo hanno dato un significato più chiaro anche a quelle di Giuseppe Conte, che nel replicare a Letta e al Pd che punta sull’agenda Draghi parlando di “Italia tradita”, ha sottolineato che il programma dell’ex presidente Bce “ha ben poco a che fare con i temi della giustizia sociale e della tutela ambientale, che sono stati respinti e umiliati sprezzantemente”. Concetti che ritornano anche nell’individuazione dei responsabili della crisi. “È vero, Enrico – ha detto Conte riferendosi al segretario del Pd – L’Italia è stata tradita quando in Aula il Premier e il centrodestra, anziché cogliere l’occasione per approfondire l’agenda sociale presentata dal MoVimento 5 Stelle, l’hanno respinta umiliando tutti gli italiani che attendono risposte“. Quali? “Basta salari da fame e precarietà per i nostri giovani, buste paga più pesanti per i lavoratori, tutela delle 50mila piccole imprese dell’edilizia a rischio fallimento, lotta all’inquinamento vera e non trivelle e inceneritori”. Insomma, gli obiettivi storici del Movimento 5 stelle.

Che ritorneranno nella prossima campagna elettorale, quella in cui il Movimento 5 Stelle sarà attaccato da tutti, almeno a sentire Giuseppe Conte. Che però è ottimista: “Non voteranno solo i noti commentatori di giornali e talk show che ci attaccano e i protagonisti dei salotti finanziari che ci detestano – ha detto – Anche chi non conta e chi non ha voce potrà far pesare il proprio giudizio. Noi per loro ci saremo sempre”. Anche questo è un ritorno alle origini, all’idea di essere sempre una forza antisistema pur avendo governato per cinque anni, praticamente con tutti. Grillo, ad esempio, non ha nascosto che qualcosa non è andato come doveva andare: “L’Italia si merita tante cose e noi non siamo riusciti a farle, mi sento colpevole anche io” ha detto il fondatore, che però subito dopo ha sottolineato un altro aspetto. La diversità rispetto agli altri, ancora una volta: “Abbiamo fatto qualcosa di straordinario: sono tutti contro di noi. Siamo degli appestati – ha attaccato Grillo – E quando tutti, compresi i bulli della stampa, sono contro di noi significa una sola cosa: vuol dire che abbiamo ragione. Non fatevene un problema – ha concluso il fondatore – Noi siamo antibiotico e se perdiamo questo perdiamo il baricentro in cui collocarci“.

Quest’ultimo concetto ribadito da Grillo per molti ha rappresentato anche un invito indiretto ad Alessandro Di Battista, che del primo M5s rappresentava il vero spirito movimentista. Al netto delle sensazioni, la replica del diretto interessato non è una chiusura: “In tanti mi state scrivendo per dirmi che è il momento di buttarmi nella mischia… Io non sono disposto a tutto pur di ritornare in Parlamento“, ha detto l’ex deputato in un video condiviso sui social. Il “peccato originale” della politica “per me è la politica professionista – ha spiegato – ovvero l’idea che la politica sia una professione che bisogna portare avanti fino all’età della pensione o addirittura successivamente. Io a questa cosa non ci credo, non ci ho mai creduto. Nei prossimi giorni – ha concluso – finirò il mio lavoro, tornerò in Italia e vedrò che succede”.

Un ritorno all’antico, poi, metterebbe definitivamente la parola fine alla politica delle alleanze, almeno a quelle organiche. Il patto con il Pd, ad esempio, è sul punto di saltare una volta per tutte. Lo dice la logica, lo confermano le accuse incrociate di questi giorni, lo avvalora la lettura dei sondaggisti. Tutti, del resto, concordano sul fatto che l’unica speranza di riconquistare spazi e voti, tanto per il M5s che per il Partito democratico, è rappresentata dall’andare da soli alle elezioni. Una questione di identità. Che vale soprattutto per i temi, a partire, per esempio, dalle armi all’Ucraina. “Noi siamo una forza progressista” ha rimarcato Conte, ribadendo “giustizia sociale, transizione ecologica e digitale” come punti cardine del loro programma. “Chi vuole lavorare su queste misure, può ritrovarsi a condividere con noi, o a confrontarsi con noi. Poi spetterà al Pd fare le sue scelte“. Un modo per dire che i Cinquestelle rimangono fedeli ai loro temi. Ritornando al passato, puntando sull’unicità inquinata da – ancora Grillo – “un Parlamento che non si merita nessuno, figuriamoci Draghi. Non se lo merita neanche l’ultimo degli italiani”.

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