Timoué Bakayoko è stato “collaborativo” e “non c’è stato nessun problema se non una polemica montata sul nulla“. Così Girolamo Lacquaniti, portavoce dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia, commenta a 24 Mattino su Radio 24 quanto è accaduto lo scorso 3 luglio al calciatore del Milan, fermato e perquisito dalla polizia in centro, a Milano. Come si vede nel video, durante l’operazione un’agente puntava la pistola contro la macchina del calciatore. “I poliziotti sono intervenuti perché ritenevano che su quella macchina viaggiassero soggetti coinvolti in una rissa dove i testimoni avevano parlato anche di esplosioni di arma da fuoco“, spiega Lacquaniti. Che in un’altra intervista, nel programma Gli Inascoltabili in onda sull’emittente radiofonico New Sound Level, ribadisce: “Io pur non essendo milanista ne approfitto per fare i complimenti a Bakayoko che non ha detto ai poliziotti ‘voi non sapete chi sono io, vi faccio passare i guai’. È stato collaborativo, ha capito la dinamica degli eventi, se non ci fosse stato il video nessuno avrebbe detto nulla perché non c’era nulla da dire e il giocatore del Milan è il primo a saperlo. Merito a lui che si è comportato da cittadino modello, mostrando collaborazione, comprendendo la situazione ed evitando qualsiasi forma di polemica”.

Dopo aver visto le immagini, in molti sui social network hanno criticato l’operato della polizia ed è intervenuta anche Amnesty Italia: le immagini “fanno pensare a una profilazione etnica” o, in altri termini, a una “pratica discriminatoria”. La Questura ha subito chiarito che il fermo è stato effettuato “in un contesto operativo” che “giustificava l’adozione delle più elevate misure di sicurezza, anche in funzione di autotutela” e “si è svolto con modalità assolutamente coerenti rispetto al tipo di allarme in atto”. Sul punto è intervenuta anche Unarma, associazione nazionale sindacale dell’Arma dei Carabinieri: “Non c’è alcun accanimento razziale nella scelta di fermare una persona per dei controlli, soltanto un fraintendimento su cui le Forze dell’Ordine hanno tenuto subito a fare chiarezza“, dice il segretario generale Antonio Nicolosi.

“La disavventura del centrocampista del Milan, Timoué Bakayoko – prosegue Nicolosi – corrisponde in realtà a normali controlli che gli agenti di polizia applicano quando ricevono una segnalazione dalla centrale. Il protocollo prevedeva di fermare e controllare una persona che, secondo identikit, assomigliava per fisionomia all’atleta. Gli agenti si sono limitati a rispettare la prassi senza etichettare per ‘colore della pelle'”. Un concetto ribadito anche da Lacquaniti a 24 Mattino su Radio 24: “Qui abbiamo la sala operativa di Milano che da una nota di ricerca che si tratta di persone di colore, a bordo di un Suv scuro e uno dei due veste una maglietta verde, esattamente come il giocatore del Milan. E’ legittimo che ci siano le critiche sull’operato delle forze dell’ordine ma in questo caso i poliziotti hanno fermato un veicolo e soggetti corrispondenti alla descrizione data dai testimoni di quell’evento drammatico ma per fortuna non tragico che era avvenuto poco prima”.

Secondo Unarma, “l’episodio è il risultato di un escalation di criminalità che già nei giorni scorsi è stato evidenziato da altri cittadini milanesi, si pensi per esempio alla Ferragni: le Forze dell’Ordine tentano solo di contrastare l’aumento di reati di strada facendo il loro lavoro”. Il portavoce dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia tiene invece a sottolineare più volte un altro aspetto: “Ripeto e ribadisco una cosa importante: tanto sono stati corretti gli operatori che il giocatore del Milan non ha fatto alcuna polemica e che anzi una volta chiarito lo spiacevole equivoco non c’è stato nessun elemento di dubbio da parte del diretto interessato”.

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