I primi a mettere alla gogna i populisti 5stelle, rei di non avere votato la fiducia a Draghi, sono ovviamente i grandi giornali dei padroni delle ferriere. Il Corriere titola ‘Calcoli e sghignazzi: la truppa M5S all’ultima performance’, Repubblica parla di un movimento ‘in tilt che perde altri pezzi’, mentre l’Huffpost ricorda agli italiani che ‘i mercati sono pronti a tirare le orecchie all’Italia’ e che, senza Draghi, ‘avremo presto grossi problemi’ dimenticando, probabilmente causa la grande calura estiva, che lo spread ha ricominciato a salire almeno dal novembre dello scorso anno. Lo spettacolo è quello di una democrazia morente, surreale e melanconico allo stesso tempo.

I 5Stelle, persa ormai definitivamente, oltre che tra poco la metà degli eletti, anche la carica antagonista iniziale, hanno fatto né più né meno che quello che tutti i partiti della prima e seconda Repubblica da sempre sono lesti a fare in prossimità delle elezioni: smarcarsi e cercare un po’ di visibilità per recuperare qualche voto. Di grandi scandali nella scelta di non votare la fiducia al premier se ne vedono pochi, anche perché pur senza i voti di Conte, Draghi continua a avere una solida maggioranza in Parlamento. Tutt’al più rinviare il primo ministro alle Camere porterà a una ulteriore erosione della compagine pentastellata e un maggiore compattamento della maggioranza a sostegno del Migliore.

Arrivare ad accusare con così tanta veemenza il partito di Grillo di sfasciare la nazione per avere negato la fiducia al premier si rivela così per quello che è: un’operazione intellettualmente ardita, ma soprattutto necessaria per tentare di mascherare la situazione drammatica in cui si trova ormai il paese e permettere a chi se ne sta approfittando di continuare a spartirsi gli ultimi resti del tesoro.

La crisi dell’Italia nasce da lontano, dallo sfascio morale dei partiti negli anni 80, e dopo da governi che non hanno mai affrontato una delle grandi questioni nazionali: la criminalità organizzata che controlla e annichilisce l’economia di intere regioni, la mancata lotta all’evasione, la corruzione. E ancora il disinvestimento verso i settori di mercato più competitivi, gli aiuti di Stato ai grandi potentati di affari, il ricorso sistematico e inutile al debito pubblico per elargire bonus e provende preelettorali, i mancati investimenti in istruzione e ricerca, l’inefficienza e il clientelismo della pubblica amministrazione, la perdita del potere di acquisto dei salari, il monopolio nel controllo dei media, il crollo demografico, l’immigrazione biblica delle nuove generazioni verso l’estero.

Alcuni dei protagonisti di questa lunga stagione di degrado, persone che avevano ruolo e titolo per incidere sulle decisioni dell’epoca, ricoprono ancora oggi le più alte cariche dello Stato: Sergio Mattarella, 25 anni in Parlamento, poi giudice della Corte Costituzionale e ora al secondo mandato di Presidenza della Repubblica, Giuliano Amato segretario del Psi al tempo del corrotto primo ministro Craxi e, sempre in ottemperanza all’italico principio della separazione dei poteri, dal 2022 presidente della Corte Costituzionale e Mario Draghi, direttore generale del tesoro ai tempi delle privatizzazioni degli anni 90, oggi premier.

La compagine di campioni democratici al potere, ultimo baluardo contro i populismi e le barbarie secondo la stampa controllata dagli oligarchi nazionali, è la medesima che ha permesso negli ultimi due anni e mezzo agli organi esecutivi e legislativi di assumere decisioni in base a uno stato emergenziale continuo, che ha fatto diventare il rinnovo del Presidente della Repubblica figura di garante della Costituzione prassi ordinaria dell’ordinamento democratico, che ha permesso di piegare a ripetizione la Costituzione in materie delicatissime come la giustizia, il diritto della salute, il diritto al lavoro, il ripudio della guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali, che ha sostituito in pianta stabile la rappresentanza elettorale e la formazione di agende riformiste con governi tecnici incaricati di mettere in ordine il registro dei conti da presentare ai creditori internazionali.

Più che perdere tempo per gridare all’irresponsabilità di Conte e dei 5stelle superstiti, le prime pagine dei giornali dovrebbero forse chiedersi: cosa sta succedendo alla democrazia italiana? E a chi risponde chi governa il paese?

E’ di oggi un sondaggio che certifica che solo il 16% di italiani è favorevole all’invio delle armi all’Ucraina. A che titolo il vecchio Draghi continua a chiedere il segreto di stato e a spedire armi per alimentare una guerra senza fine? Perché presidente Matterella avalla queste scelte? In base a quali norme il presidente Amato giustifica la partecipazione bellica dell’Italia a un conflitto che si dovrebbe cercare in ogni modo di evitare? E perché il Parlamento vota la fiducia a un premier che decide tutto da solo?

Forse il problema dello sfascio della nazione e dell’arrivo di un autunno dolorosissimo non è solo colpa di Conte e dei superstiti grillini. Forse il populismo non è la vera malattia, ma è solo il sintomo di un male più profondo e molto più devastante: la dissoluzione lenta e silenziosa dei principi portanti della democrazia liberale.

Articolo Precedente

Crisi di governo, Bersani: “Responsabilità non sono solo da una parte. Non si può dire ‘M5s indispensabile’ e mettergli le dita negli occhi”

next
Articolo Successivo

Crisi di governo, Speranza: “Mi auguro che in questi cinque giorni prevalga il buonsenso”

next