Investito dall’ennesimo scandalo a sfondo sessuale della politica britannica, il governo di Boris Johnson sta andando a pezzi. Due ministri chiave dell’esecutivo hanno rassegnato le dimissioni in polemica col premier. Dopo il ministro della Sanità, Sajid Javid, si è dimesso pure il cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, numero due di fatto della compagine Tory e responsabile della politica economica. Al centro dello scandalo che sta terremotando il governo c’è Chris Pincher, costretto a dimettersi da deputy chief whip e dall’incarico cruciale di sorvegliare la disciplina del gruppo di maggioranza alla Camera dei Comuni: è accusato di essersi ubriacato in un gentlemen club di Londra e aver poi molestato due uomini, incluso un altro deputato.

La giustificazione di Johnson e poi le scuse – Johnson era stato messo al corrente oltre due anni fa dei sospetti su episodi analoghi, prima di promuovere Pincher. Oggi, in un primo momento, ha sostenuto di aver saputo di quei sospetti ma di essersene dimenticato: un tentativo di giustificazione che non ha convinto Javid, che si è dimesso da ministro della Sanità dicendo di non poter “più servire in buona coscienza in questo governo“. Poco dopo è arrivato il passo indietro di Sunak. Quindi il premier ha provato a mettere una pezza, scusandosi per non aver silurato già due anni fa l’ex viceministro Pincher. Johnson ha riconosciuto come “un errore” la permanenza di Pincher nella compagine Tory dopo le accuse su un episodio simile precedente di cui egli stesso ha oggi riconosciuto di essere stato informato a fine 2019; e ha assicurato di non voler dare spazio ad alcun sospetto “predatore sessuale” nell’esecutivo. Le scuse del premier, però, rischiano di essere tardive.

Gli scandali – Per i conservatori britannici è l’ultimo scandalo sessuale in ordine di tempo: tra un deputato condannato per violenza sessuale, un altro che si è dimesso perché guardava video porno a Westminster durante le sedute parlamentari e un altro ancora arrestato per stupro. Il caso di Chris Pincher ha fatto tornare all’attacco l’opposizione laburista pronta a puntare il dito contro Johnson già pesantemente criticato per il cosiddetto Partygate, i ritrovi organizzati a Downing Street in violazione delle restrizioni anti-Covid imposte dallo stesso esecutivo fra il 2020 e il 2021. Questa volta però le dimissioni del deputy chief whip (incarico che nel sistema del Regno coincide con un ruolo di membro del gabinetto) non sono bastate e rischiano di mettere in crisi la stessa leadership interna di BoJo nel partito conservatore. Johnson è, infatti, accusato di avere coperto Pincher: il passo indietro di due ministri chiave rischia di mettere in crisi il suo esecutivo.

“Pincher di nome, pincher di natura” – In tanti hanno subito sottolineato che numerosi compagni di partito avevano già segnalato Chris Pincher come “potenziale molestatore“, anche mentre lo scorso febbraio veniva promosso da viceministro dell’Edilizia a deputy chief whip (incarico affidatogli peraltro in passato pure da Theresa May, dopo un precedente sospetto messo a tacere nel 2017). Tanto più dopo le rivelazioni di Dominic Cummings, ex consigliere di Johnson dal dente avvelenato, secondo cui il premier in persona si sarebbe riferito al reprobo come “Pincher di nome, pincher di natura“: con un richiamo al verbo “to pinch“, nel senso di “dare i pizzicotti”, o “palpare”. Subito però Downing Street si è affrettata a negare che Johnson fosse informato di denunce concrete contro Chris Pincher.

“Boris non dice la verità” – Adesso però la posizione di Boris Johnson si aggrava. Dopo un’iniziale smentita ha riconosciuto di aver saputo di una precedente segnalazione di “comportamento inappropriato” fatta contro il suo chiacchierato alleato già all’inizio del 2020, a dispetto del fatto che Downing Street abbia negato che il premier fosse a conoscenza di formali contestazioni su Pincher, ma solo di voci e di sospetti. Una linea contestata da lord Simon McDonald, all’epoca dei fatti segretario generale del Foreign Office, che ha inviato una lettera alla Commissione parlamentare sugli standard di condotta ministeriali in cui afferma che il governo “non sta dicendo la verità“. Secondo McDonald, la segnalazione del 2020 fu seguita da un’investigazione interna affidata a lui stesso in base alla quale quel comportamento non fu ritenuto meritevole di una sanzione disciplinare, il viceministro “non venne esonerato” e si dovette “scusare”. Non solo: l’ex diplomatico ricorda d’aver fatto rapporto all’inizio e alla fine della vicenda all’allora ministro degli Esteri (e attuale vicepremier) Dominic Raab, dicendosi certo che lo stesso abbia informato Johnson, perché “me lo disse”. Raab ha subito smentito in un’intervista di aver coinvolto “direttamente” il primo ministro, visto che lo stesso McDonald non ritenne in ultimo di dover sanzionare l’accaduto con richieste di provvedimenti disciplinari.

Il voto di sfiducia – Una vicenda che rischia di alimentare i problemi interni allo stesso partito del premier. Sfuggito un mese fa, con numeri risicati, a un voto di sfiducia interno sulla sua leadership di partito, secondo le regole in corso non rischierebbe un altro voto di sfiducia, se non tra un anno. Ma le ultime novità sembrano poter rianimare l’opposizione interna in casa Tory, dove i ribelli – stando al Times – puntano ora su una modifica delle regole di partito con l’idea di provare a riproporre un voto di sfiducia sulla leadership di BoJo già entro fine anno, forse a fine luglio. Dopo le doppie dimissioni dal governo il risultato potrebbe essere molto diverso.

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