Poteva essere salvata, ma fu finita e morì dopo cinque ore di agonia. La pm Carmen Fusco nel corso della requisitoria del processo per l’omicidio di Serena Mollicone, la giovane di Arce uccisa nel 2001, accusa tutta la famiglia Mottola: “Il delitto di omicidio accomuna tutti i componenti della famiglia Mottola” ha detto nel corso della requisitoria del processo che si svolge a Cassino (Frosinone). “Serena se immediatamente soccorsa si sarebbe salvata ma muore per effetto di una condotta attiva, perché i Mottola tutti presenti e tutti concordi sul da farsi, davanti a una ragazza svenuta ma viva, le ostruiscono le vie aree e le chiudono il capo con un sacchetto di plastica e con il nastro adesivo”. L’accusa ha quindi chiesto 30 anni per Franco Mottola e 24 anni per il figlio Marco e la moglie.

La vittima “aveva riportato un trauma importante ma non letale. Si sarebbe potuta salvare ma è stata soffocata con un nastro adesivo che le ha avvolto la bocca ed è stata finita” ha spiegato Corte d’assise di Cassino la pm Beatrice Siravo citando la superperizia di Cristina Cattaneo, medico legale che dirige il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università di Milano. La superperizia della Cattaneo è stata decisiva per la riapertura delle indagini e il successivo processo. Serena, secondo quanto ricostruito dalla pm, avrebbe ricevuto il colpo alla testa intorno alle 11.30 e sarebbe morta dopo 5 ore di agonia. Imputati nel processo sono Marco Mottola, considerato l’autore materiale dell’omicidio, imputati anche il padre, Franco, ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce e la moglie Anna Maria. Nei loro confronti l’accusa è di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Alla sbarra, davanti ai giudici della Corte d’Assise, anche luogotenente Vincenzo Quatrale, a cui è contestato il concorso esterno e l’istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi e Francesco Suprano accusato di favoreggiamento. Per Quatrale e Suprano sono stati chiesti 15 anni dalla procura.

Secondo la ricostruzione dell’accusa Serena Mollicone il primo giugno del 2001 venne scaraventata contro quell’anta in legno della caserma dei carabinieri da Marco Mottola. Un’anta usata “come un’arma”. Alla responsabilità di Mottola, secondo l’accusa “si arriva anche senza tenere conto della pur attendibile testimonianza del brigadiere Santino Tuzi” (morto suicida) che aveva visto quel giorno entrare la ragazza nella caserma vestita con una maglietta rossa e dei pantaloni neri. “Quando abbiamo riaperto le indagini con l’ipotesi dell’omicidio avvenuto in caserma e con la perizia sulla porta avevamo poche speranze” ma l’accusa è arrivata ad “avere una prova scientifica solidissima”. Nel corso della scorsa udienza l’accusa aveva spiegato che le analisi scientifiche effettuate negli anni hanno portato ad “escludere ogni ipotesi alternativa” e anche le verifiche sui frammenti di legno, e in particolare le tracce di colla e vernice trovate sul nastro adesivo con cui era stata imbavagliata, fanno ritenere che “l’azione omicidiaria si è consumata all’interno della caserma”. “Perché si è suicidato Santino Tuzi?”, si è chiesta la pm. “Se Santino non si fosse suicidato, visto che nessuno confermava le sue dichiarazioni, sarebbe andato a giudizio per l’omicidio come è accaduto a Carmine Belli”, ha sostenuto. “Vorrei riabilitare l’immagine di Santino – ha concluso – È stato l’unico che ha rotto il muro del silenzio e ha pagato con la vita le sue dichiarazioni”.

Secondo l’impianto accusatorio il movente sarebbe legato ad una lite che Mottola avrebbe avuto con Serena alcune ore prima. “Serena quel giorno si era recata dal dentista a Sora e poi salì a bordo dell’auto di Mottola per un passaggio. Con lui si fermò davanti ad un bar dove fu vista litigare con il giovane”, spiega il pm. La ragazza andò, quindi, in caserma per recuperare dei libri che aveva lasciato in auto e lì, secondo l’accusa, venne aggredita. La notte tra il primo e il due giugno di 21 anni fa “Franco e Anna Maria Mottola portano il corpo di Serena nel bosco di Fonte Cupa”, un elemento confermato anche dall’analisi dei tabulati telefonici e dal racconto di un testimone. In quel boschetto, a 8 chilometri da Arce, Serena fu ritrovata la mattina del 3 giugno 2001: il corpo in posizione supina in mezzo ad alcuni arbusti, la testa, con una vistosa ferita, avvolta in un sacchetto di plastica, mani e piedi legati con scotch e fil di ferro. Nastro adesivo anche su naso e bocca.

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