Il Tour de France 2022 parte venerdì 1° luglio (insolitamente dalla Danimarca) con un grande interrogativo: non tanto chi, ma cosa potrà battere Tadej Pogacar, campione in carica delle ultime due edizioni, fenomeno del ciclismo mondiale. Più dei rivali, dovrà temere forse solo il destino: il caldo, il pavé, soprattutto il Covid, la vera variante impazzita di una corsa che altrimenti, nonostante un percorso brillante e un parterre d’eccellenza, rischia di essere terribilmente banale.

Il Tour era ed è sempre l’appuntamento dell’anno. Se l’ultimo Giro d’Italia è stato scialbo e noioso, la gara dei rincalzi, e alla Vuelta andranno reduci e delusi del finale di stagione, in Francia come sempre ci saranno tutti i migliori. Il problema è che mai come in questo periodo storico il panorama delle due ruote è fortemente gerarchizzato: il più forte, cioè Pogacar, sembra troppo più forte di tutti gli altri; basti dire che quest’anno fin qui ha vinto tutte le corse a tappe (minori) a cui ha partecipato. E il grave infortunio di Egan Bernal non ha fatto che peggiorare la situazione. Ai nastri di partenza restano un paio di corridori eccezionali a contendergli la vittoria, ma a debita distanza: Jonas Vingegaard, danese di 25 anni, secondo a sorpresa nel 2021, che si sente “pronto per vincere il Tour” e probabilmente avrebbe pure ragione, se non ci fosse Pogacar. E poi l’altro sloveno Primoz Roglic, che ha avuto la sfiga di vedersi nascere un campionissimo a pochi anni e chilometri di distanza, altrimenti sarebbe stato una star nazionale.

Insomma, rischiamo di assistere a una gara a compartimenti stagni: la maglia gialla che corre da sola, i rivali che si contendono il podio, poi tutti gli altri per il resto della graduatoria. E qui si inserisce il capitolo italiani. Fra gli uomini di classifica di seconda o terza fila c’è anche il nostro Damiano Caruso: l’eroe del Giro 2021 (fu ottimo secondo), in questo momento ultimo baluardo del ciclismo azzurro, è stato dirottato sul Tour, rinunciando a un podio praticamente sicuro in casa. Non è detto che sia stata una scelta sbagliata: se lo assisterà la stessa forma dello scorso anno, in Francia potrebbe cogliere un piazzamento di prestigio nei primi dieci o addirittura cinque, che un tempo valeva una carriera. Filippo Ganna, fenomeno della cronometro, punta alla prima maglia gialla nel prologo danese. Giulio Ciccone, senza grosse velleità di classifica, può far bene sulle grandi montagne e magari vincere una tappa.

Cosa può scompaginare questo copione e la passerella annunciata di Pogacar sui Campi Elisi il prossimo 24 luglio? Sicuramente il percorso, sulla carta uno dei più belli degli ultimi anni. L’inversione tra Alpi (stavolta già nella seconda settimana) e Pirenei (nella terza) renderà la corsa dura da subito: con cinque arrivi in salita, il primo già alla settima tappa sui Vosgi a La Planche des belles filles, due doppiette di tapponi con vette iconiche (Alpe d’Huez, Galibier, Hautacam) e poca cronometro, sarà un Tour decisamente per scalatori. Ma la vera data da cerchiare in rosso probabilmente è il 6 luglio: ancora prima di iniziare a fare sul serio, la carovana arriverà ad Arenberg, sul pavé che ha reso epica la Parigi-Roubaix e stavolta potrebbe diventare il vero crocevia di questo Tour de France. In una corsa con i rapporti di forza così ben definiti, una tappa fuori dai canoni dei grandi giri, dove può succedere di tutto, una foratura, una caduta, è l’incognita più grande sulla classifica.

Quella sportiva. Perché poi il rivale più temuto, da Pogacar come da tutti gli altri, in questo momento è il Covid. Con la nuova ondata in giro per l’Europa, un assaggio di quello che potrebbe succedere l’abbiamo visto al recente Giro di Svizzera, dove da un giorno all’altro si sono ritrovati fuori dalla corsa il leader Aleksandr Vlasov (russo che corre sotto bandiera neutrale, altro outsider per il Tour: ora la sua forma è un rebus) e una ventina di corridori, tra cui Yates e Pidcock (l’inglese, fenomeno del ciclocross, è un altro di quelli da tenere d’occhio). Tutti i partecipanti ormai si allenano blindati. Tanto che l’organizzazione del Tour è corsa ai ripari, aggiornando i protocolli Covid: non sarà più automatica l’esclusione di una squadra con più infetti, e addirittura un atleta potrebbe rimanere in corsa anche da positivo. Tutte le decisioni sull’isolamento saranno prese da un’apposita commissione medica che in teoria potrebbe lasciare in gara anche un infetto con una carica virale particolarmente bassa (ma è difficile pensare che ciò accada). Insomma, una gara ad eliminazione, dove non è detto che vinca necessariamente il più forte. Quello è senza dubbio Pogacar.

Twitter: @lVendemiale

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