Gli sherpa del G7, secondo fonti vicine al dossier, hanno concordato di dare mandato con urgenza ai ministri dell’energia perché studino l’applicazione di un price cap sulle fonti energetiche importate dalla Russia. La misura servirebbe per cercare di ridurre gli introiti che Mosca incassa esportando greggio e gas: oltre 64 miliardi di euro dall’inizio della guerra in Ucraina, stima il Centre for Research on Energy and Clean Air. L’ipotesi, per quanto riguarda il petrolio, è fortemente sostenuta dagli Stati Uniti che sono sostanzialmente autosufficienti. Gli Usa sono infatti i primi produttori al mondo insieme ad Arabia Saudita e, appunto, Russia. Questo spiega un atteggiamento più prudente da parte di Unione europea e Germania in particolare. Per il gas a spingere per un cap è soprattutto il governo italiano. Il Nord Europa non ne vuole sapere: i Paesi Bassi il gas lo esportano, Berlino teme ripercussioni sulle forniture. Che però sono già state ridotte e secondo la Ue è probabile vengano azzerate o quasi, in luglio, anche senza il “tetto”.

“Mettere un tetto al prezzo dei combustibili fossili importati dalla Russia ha un obiettivo geopolitico oltre che economico e sociale. Dobbiamo ridurre i nostri finanziamenti alla Russia. E dobbiamo eliminare una delle principali cause dell’inflazione” ha detto, secondo quanto si apprende, il presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso della prima sessione di lavoro del G7. “Anche quando i prezzi dell’energia scenderanno, non è pensabile tornare ad avere la stessa dipendenza della Russia che avevamo. Dobbiamo eliminare per sempre la nostra dipendenza della Russia”, ha aggiunto il presidente del Consiglio. Draghi ha poi continuato “Dobbiamo evitare gli errori commessi dopo la crisi del 2008: la crisi energetica non deve produrre un ritorno del populismo. Abbiamo gli strumenti per farlo: dobbiamo mitigare l’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia, compensare le famiglie e le imprese in difficoltà, tassare le aziende che fanno profitti straordinari“.

Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha sottolineato come per l’adozione di questo provvedimento sia necessaria una visione chiara” e la consapevolezza dei possibili effetti a catena. L’Ue ha già deciso un embargo sulle spedizioni marittime di petrolio russo che entrerà in vigore però solo gradualmente e con alcune esenzioni. La questione si intreccia con quella più ampia del contrasto all’inflazione, alimentata in particolare dagli alti prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari.

Sul tavolo anche lo stop all’import di oro russo. Lo scorso anno Mosca ha esportato metallo prezioso per un valore di circa 15 miliardi di euro. Poca cosa rispetto all’export di petrolio e gas ma lo stop colpirebbe anche chi ha investito in oro, soprattutto le famiglie russe più abbienti, che avrebbero qualche difficoltà in più a movimentare e/o convertire questa risorsa. Una mossa che non sembra comunque destinata a cambiare significativamente gli equilibri. “È chiaro che si possa trovare uno strumento per un settore specifico e continueremo a parlarne, per poter arrivare a una decisione unanime”, ha detto Michel, rispondendo a una domanda sull’embargo dell’oro. Michel ha però ribadito: “due giorni fa abbiamo deciso con 27 paesi in Ue che il nostro lavoro vada approfondito sulle sanzioni e che alcune cose vanno ancora chiarite, per evitare che diventiamo vittime collaterali delle sanzioni”. “Le misure devono essere efficaci e bisogna tenere in considerazione quali effetti negativi si nascondano per noi”.

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