Luigi Di Maio, lasciando il M5S e portandosi dietro i parlamentari più draghiani (un modo per dire europeisti, atlantisti e centristi con una parola sola), risolve quell’ambiguità che a ragione ha definito come la causa del crollo di consensi del Movimento, certificato alle ultime elezioni amministrative. Restare nel governo e attaccarlo a giorni alterni, come ha fatto il M5S a guida Conte, non ha senso comunicativamente parlando se il presidente del Consiglio è uno come Mario Draghi, chiuso ad ogni vera mediazione con le forze politiche, uno che tira dritto per la sua strada e ascolta solo voci al di fuori del Parlamento italiano.

Se non ottieni nulla a livello legislativo e neppure in termini di consensi – come ampiamente dimostrato -, c’è solo un motivo per cui i tuoi parlamentari vogliono restare al governo: per non andare ad elezioni anticipate. Ieri sera Di Maio ha risolto questo problema. Con la settantina di parlamentari pronti a seguirlo, il M5S diventa la seconda forza politica in Parlamento, dopo la Lega, e una sua uscita dalla maggioranza di governo permetterebbe a Draghi di andare avanti comunque. Pallottoliere alla mano, i numeri a sostegno dell’attuale governo sarebbero di 440 voti a Montecitorio, 190 a Palazzo Madama.

Grazie ad un’uscita dalla maggioranza di governo, il M5S potrebbe tornare ai programmi delle origini, portando avanti con coerenza le battaglie che lo hanno mostrato ambiguo, come quella sulla riforma della giustizia, sull’invio di armi all’Ucraina e sul superbonus smantellato da Draghi. Non c’è da preoccuparsi di un’eventuale emorragia di voti a seguito della fuoriuscita di Di Maio dal Movimento. Ciò che tira, come spiegava la sondaggista Alessandra Ghisleri lunedì sul Fatto, è il brand ‘Movimento 5 stelle’. Secondo la direttrice di Euromedia Research, il M5S ha ancora un 11-12 per cento di elettori alle politiche, che possono aumentare di un ulteriore 5-6 per cento se si riescono a recuperare un po’ di delusi.

Pensiamo poi ai delusi non solo fra gli elettori, ma anche fra gli ex eletti e gli opinionisti, che con questa mossa potrebbero riavvicinarsi al M5S, portando altri consensi. Riconquistare la fiducia dei sostenitori di una volta sarà più facile passando all’opposizione. Questa è una regola generale: chiunque stia all’opposizione cresce nei consensi. Lo vediamo anche da Fratelli d’Italia che dopo l’ottima performance alle amministrative si conferma sempre più primo partito nei sondaggi.

Non ci sono problemi neanche a livello di posizionamento politico. Il partito di Di Maio, Insieme per il futuro, non sarà una copia del M5S, non ne prenderà i temi e le parole. Sarà un partito di centro che con tutta probabilità farà rete con altri centristi celebri. I primi nomi che girano sono quelli di Beppe Sala e altri sindaci, poi Bruno Tabacci, Giancarlo Giorgetti, Giovanni Toti e perfino Vincenzo De Luca, che avrebbe cambiato opinione sullo storico nemico.

Non vedo motivi per cui il M5S debba mantenere l’appoggio a Draghi. Certo è che uno strappo del genere richiede coraggio. Non più ultimatum o decisioni sospese, come quella che ha permesso a Di Maio di andarsene, invece di essere cacciato. Serve la grinta di un tempo per agire ora. Rimandare un’azione del genere ne vanificherebbe l’efficacia, perché da oggi il M5S, con i nuovi numeri ridotti, sarà ancora meno influente nel governo. Più tempo passa, più verrà isolato. Questo si tradurrà in un’ulteriore perdita di consensi. A nulla servirà alzare la voce da adesso: la risposta di Draghi sarà un immediato invito a togliere il disturbo. Tanto lui va avanti lo stesso. Grazie alla mossa di Di Maio, Giuseppe Conte può salvare il Movimento. Ma può farlo adesso, o mai più.

SALVIMAIO

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