Cinema

Fanny Ardant rivoluzionaria con eleganza: “Macron? Un amministratore delegato. Trintignant? Non morirà mai”

Al Biografilm festival di Bologna per presentare I giovani amanti, dove interpreta una signora molto matura amata da un giovanotto, la musa ed ex amante di Truffaut lancia un appello affinchè il cinema non diventi un algoritmo: "Definire a priori cosa piace al pubblico è fascista"

di Davide Turrini

Conturbante, affascinante, rivoluzionaria. Va bene, abbiamo imparato che l’età di una donna non si dice e non si scrive, ma quando incontri per una decina di minuti, e a mezzo metro dal suo viso, Fanny Ardant, è complicato spiegare che si ha di fronte una bellezza senza tempo. Capelli corti e raccolti, un tubino nero che arriva poco sopra il ginocchio portato con raffinata disinvoltura, dita inanellate da gioielli a spirale apparentemente grezzi ma incredibilmente eleganti: inutile dire che una delle più grandi star del cinema mondiale non sa cosa voglia dire la chirurgia estetica. “Un segreto della mia bellezza, del mio charme? Guardi, non so di cosa stia parlando. Non so proprio rispondere”, spiega misteriosa e pure un filo piccata l’interprete de La donna della porta accanto. La Ardant è al Biografilm Festival di Bologna per accompagnare l’uscita de I giovani amanti (in uscita il 23 giugno). Nel film interpreta un’architetta in pensione che si innamora e vive una relazione sentimentale con un giovane medico interpretato da Melvil Poupaud. “È un racconto su una donna ma con protagonista un uomo e il ruolo maschile illumina quello femminile. Se dovessi semplificarlo in una formula lo definirei: l’amore è sempre l’amore ad ogni età”.

Decine i personaggi interpretati in 40 anni di carriera da quella ragazza che salì sui palchi teatrali per reagire ventenne alla morte del padre, lì incontrata da Francois Truffaut che la fece musa e amante, e da cui ebbe una figlia, Jospehine. “La ragione per la quale scelgo un personaggio da recitare è molto oscura. Dico no a tutte quelle figure di donna che non vorrei mai essere nella vita, tipo una donna di potere. So che non è molto professionale, ma ho bisogno di amare il personaggio che interpreto. Non dico che deve assomigliarmi o che deve essere politicamente corretto, ma dovendo viverci sul set o su un palco con questa femmina per due mesi non posso detestarla. Adesso però non mi chieda qual è il personaggio che più amo tra quelli interpretati perché io le rispondo: lei riuscirebbe a portare un solo libro sull’isola deserta?”. Avendo vissuto l’assestarsi delle “vague” sessanta/settanta Ardant rimane comunque una dura e pura in campo autoriale. “Bisogna bloccare questa idea di pensare al cinema come nozione di profitto e successo. Tutto è stato mostrato e raccontato dai greci a oggi, quindi l’industria del cinema sopravvivrà se saprà raccontare il vero e non per cercare un pubblico. Non esistono cocktail per piangere o ridere. Quando dicono ‘questo è un film per una certa fascia d’età, mi chiedo se scherzano. Il cinema deve essere indipendente dunque d’autore. Io amo il cinema d’autore e non sopporto gli algoritmi. Ognuno di noi può vedere cose diverse dal politico al comico, dallo sperimentale al thriller. Definire a priori cosa piace al pubblico è qualcosa che sa di fascismo”.

Inutile allora aprire il capitolo politico tout court, per una Fanny vera pasionaria de gauche vecchio stampo. “Macron di sinistra? Non mi faccia ridere. Siamo in piena epoca neoliberista, un’era di capitalismo selvaggio. Il mondo è retto dall’economia e non ci sono più dogmi e lingue politiche. Ogni presidente della repubblica in Francia è diventato qualcosa tra un amministratore delegato e direttore finanziario. L’ultima frase politica che ricordo è “Che Guevara è morto”. Quella fu l’ultima figura emblematica che aveva del lirismo, l’idea di un uomo che faceva resistenza al potere costituito. Il sogno rivoluzionario non esiste più. Del resto alle ultime elezioni politiche di fronte al caos e al bisogno di cambiamenti radicali le soluzioni vincenti sono le solite ricette riformiste moderate”. Non ultimo però è il ricordo dell’amico Jean-Louis Trintignant, appena scomparso: “Ho amato lavorare con Jean-Louis. Con lui ho girato Finalmente domenica e L’été prochaine. Un grande attore, generoso, intelligente, ironico. Avevamo in comune l’amore per la poesia: mentre giravamo L’ete prochaine lui si mise a recitare la prima quartina de Il Battello ebbro di Rimbaud e io subito lo seguii con la seconda quartina. Lui mi veniva a vedere a teatro e io andavo a vedere lui. Gli attori come lui o come Vittorio Gassman non muoiono mai veramente. È come quando evochi le persone che amavi, come quando racconti ai nipoti che non l’hanno conosciuto cosa era e faceva il nonno”.

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