Non è bastata la pronuncia della Corte dei Conti che, recentemente – in merito alla “Gestione delle risorse 2013-18 correlate alla realizzazione dell’autonomia differenziata, con particolare riguardo alle politiche del lavoro, dell’istruzione e della formazione” – ha affermato che non si dispone ancora “di un quadro di insieme su quelli che potranno essere gli effetti (finanziari e non) del regionalismo differenziato; né, allo stato attuale, le informazioni pervenute consentono di dimostrare che il trasferimento delle competenze dallo Stato alle regioni a statuto ordinario possa migliorare l’efficienza degli interventi o, di converso, che la stessa possa essere destinata a ridursi”.

Non è bastata neppure la lunga relazione del gruppo di lavoro sul regionalismo differenziato, presieduta dallo scomparso prof. Beniamino Caravita – che circa tre mesi fa ha argomentato una serie di riserve e consegnato una serie di suggerimenti al governo – che l’aveva interpellata in merito al ddl che avrebbe dovuto regolare l’attuazione del comma 3 del art. 116 Cost., per consentire alle regioni a statuto ordinario di accedere a “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, in gran parte disattesi.

Non sono bastate – infine – una pandemia (che ha evidenziato tutte le criticità di 20 gestioni differenti della sanità e della scuola) e una guerra, che (combinate in un 1-2 statisticamente improbabile) fanno registrare un aumento costante e implacabile di povertà, marginalità e diseguaglianze.

Tanto tuonò che piovve: dopo una sequenza di annunci, il ddl Gelmini è davvero in dirittura di arrivo e ne cominciano a circolare alcune bozze. In un testo estremamente scarno – 5 articoli in tutto – si olia la macchina dell’autonomia differenziata, mentre alcune regioni – Toscana e Piemonte in primis – stanno proprio in queste ore decidendo di mettersi al passo con le intraprendenti Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che hanno iniziato il percorso verso il regionalismo differenziato ben 4 anni fa (28 febbraio 2018), con la sigla delle pre-intese con il governo Gentiloni.

Il testo della Gelmini mette totalmente a tacere (qualora ce ne fosse ulteriore necessità) il Parlamento. Sarà solo una “bicamerale” sulle questioni regionali a dare un parere sulle intese avanzate dalle Regioni, mentre l’aula si limiterà a votare sì o no, a maggioranza assoluta, il disegno di legge in cui sarà stato trasformato lo schema di intesa tra la singola regione e il governo. La procedura indicata non riguarda gli atti finora già presentati: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna potranno già partire, appena la legge sarà approvata. Per istruzione, sanità, assistenza, trasporto pubblico locale la definizione dei Lep è prerequisito necessario per il trasferimento.

L’art. 4 è forse il punto più basso del provvedimento: “Le risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio da parte della Regione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono definiti dall’intesa di cui all’articolo 2 nei termini di spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti alle funzioni conferite quale criterio da superare a regime con la determinazione dei costi, dei fabbisogni standard (…)”. Cosa sia la spesa storica ce lo ha ben spiegato Marco Esposito (“tanto spendi, tanto ti viene riconosciuto dallo Stato”), nel suo libro Zero al Sud. Reggio Emilia ha 171mila abitanti contro i 180mila di Reggio Calabria; eppure, la prima spende 28 milioni in istruzione, mentre la seconda solo 9. E ancora: 21 sono i milioni spesi in cultura da Reggio Emilia, mentre sono solo 4 quelli del comune calabrese. E’ così che emerge il famoso “zero al Sud” di cui parla Esposito: se non hai speso in asili nido, vuol dire che non hai bisogno di asili nido, e che ciò che avrai sarà zero. Non a caso Esposito dedicò quel libro (che sempre più risulta tragicamente attuale) “A tutti i bambini senza asilo nido perché nessuno di loro vale zero”.

La regione Calabria investe 77 milioni l’anno nel turismo sanitario, devolvendo alle regioni del Nord (prime tra tutte la Lombardia) finanziamenti per sopperire alla tragedia della mancanza di ospedali. Ricordate la bimba calabrese che – lo scorso gennaio – morì a 2 anni di Covid per mancanza di terapie intensive in regione? La Calabria, con 2 milioni di abitanti, ha zero terapie intensive infantili; il Veneto, con 5 milioni di abitanti, ne ha 3. Un bambino calabrese (purtroppo nonostante l’affermazione di Esposito) già oggi vale molto meno di un coetaneo delle Regioni che stanno chiedendo di gestire i propri fondi per fare una sanità, un sistema di istruzione, delle infrastrutture propri, in un progetto eversivo che prevede la rottura del patto repubblicano, un diverso accesso e una diversa esigibilità dei diritti universali garantiti a tutte/i le/i cittadine/i ugualmente e su tutto il territorio nazionale.

L’autonomia differenziata liquida definitivamente tutto ciò che è “pubblico”, cioè finalizzato all’interesse generale, destinato a diminuire le differenze tra ricchi e poveri. E’ una famelica rincorsa alla privatizzazione (come già la Lombardia ha dimostrato dal 2001 ad oggi – da quando, cioè, la sanità è materia di potestà legislativa concorrente Stato/Regioni – privatizzando quasi la metà del proprio sistema sanitario), all’arricchimento e al privilegio di pochi, sottraendo a tutti gli altri diritti e relegandoli in una ulteriore marginalità, aumentando ulteriormente i divari tra territori e tra Nord e Sud.

Denunciando l’oscuramento da parte della maggior parte dei mezzi di comunicazione di questa importantissima questione, che coinvolge il destino di tutte e tutti gli italiani (essendo in gioco, oltre alla sanità, infrastrutture, istruzione, beni culturali, ricerca scientifica, erogazione di energia, ambiente e le altre materie enunciate nel comma 3 dell’art. 117), il tavolo NO AD – composto da associazioni, partiti politici, forze sindacali, movimenti – annuncia per mercoledì 22 alle ore 12, in via della Stamperia a Roma, in occasione dell’incontro della ministra Gelmini con i presidenti delle tre regioni capofila, Zaia, Fontana, Bonaccini – un presidio in piazza cui seguirà l’annuncio della continuazione di una lotta senza sosta, in difesa dei principi fondamentali della Costituzione italiana, alla cui mortificazione non intendiamo continuare ad assistere.

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