Una legge nazionale per regolamentare il fenomeno dell’overtourism, ovvero il sovraffollamento turistico che impatta negativamente sulle città italiane, svuotandole di residenti e rimpiazzandole con visitatori mordi e fuggi. Come? Fornendo alle amministrazioni locali gli strumenti per limitare le locazioni brevi turistiche, proliferate dall’avvento delle piattaforme digitali. Questo è il proposito della campagna Ata (Alta Tensione Abitativa), da mesi incentrata sulla necessità di porre un limite all’uso speculativo delle case, soprattutto nelle città più ‘stressate’ dal turismo di massa. Una tendenza globale, che inevitabilmente – se non limitata – riduce la disponibilità di affitti per residenti e allo stesso tempo comporta un aumento dei canoni, con l’effetto di svuotare i centri storici del Belpaese (e non solo). A vantaggio delle piattaforme digitali stesse e, spesso, di grandi gruppi immobiliari. Da Venezia a Roma, da Firenze a Napoli, le grandi città d’arte soffrono il boom delle conversioni a uso turistico degli immobili. Ma in alta tensione abitativa – status definito dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) non sempre riferito solo all’uso turistico delle case – sono anche molti altri Comuni italiani. Le cui amministrazioni non possono intervenire, in mancanza di una normativa nazionale generale. E all’estero? In Europa sono diversi i Paesi che hanno già adottato soluzioni per intervenire sul fenomeno. Dall’Olanda alla Spagna, passando per la Francia.

La campagna –“La filosofia generale della nostra proposta è quella di tutelare il diritto alla casa e all’abitare nei contesti ad alta pressione turistica, attaccando la grande speculazione e difendendo i piccoli proprietari”, spiega a ilfattoquotidiano.it Giacomo Salerno, ricercatore veneziano alla Sapienza di Roma, attivista di Ocio Venezia (osservatorio civico sulla casa e sulla residenza), nonché uno dei promotori della campagna e della proposta di legge di Ata, di cui è già stata presentata una bozza. Proprio da Venezia, città simbolo del turismo di massa e delle sue conseguenze spesso deleterie (entro l’estate scenderà sotto quota 50mila abitanti), è nata questa rete, in un modo particolare. “La proposta nasce da una proiezione pubblica di Welcome Venice, film di Andrea Segre, al Teatro Goldoni di Venezia”, spiega Salerno. Era il 28 novembre 2021. Quella sera ottocento persone videro il film, incentrato su una casa contesa tra uso abitativo e speculativo, da cui scaturì un dibattito pubblico. E così, varie associazioni veneziane sono passate dalla denuncia alla proposta, insieme al regista Segre, tra i promotori della rete Ata. Lo scorso 6 marzo, al Teatro Toniolo di Mestre, la presentazione ufficiale della proposta di legge, redatta insieme a giuristi, architetti, urbanisti, ricercatori e consiglieri comunali. Una rete di competenze che sta girando lungo lo Stivale, arricchendosi di adesioni e stimoli. Da Bologna a Palermo, da Genova a Rimini, da Firenze a Roma, dove lo scorso 24 maggio, durante il convegno “Riabitare il centro – Regolamentare gli affitti brevi nelle zone ad alta tensione abitativa” si sono confrontati sul tema docenti, assessori di varie città e parlamentari, Ata è a tutti gli effetti una campagna nazionale. Alla base, la presa di coscienza di un vuoto normativo. Anche se i tempi sembrano maturi per colmarlo, come dimostra un emendamento presentato dal deputato veneziano Nicola Pellicani (Pd) al decreto 50/2022 in discussione alla Camera, per regolamentare le locazioni turistiche brevi.

La proposta –Ecco così la proposta di legge, non di iniziativa popolare, che gli attivisti di Ata sperano approdi quanto prima in Parlamento. Di cosa si tratta? “Di un regime autorizzativo per esercitare locazioni brevi, da applicarsi nei Comuni ad alta tensione abitativa”, spiega Salerno. “Il quadro normativo – continua – darebbe quindi la facoltà ai singoli Comuni di intervenire, in base alla situazione locale, rilasciando licenze ad esercitare la locazione breve”. Nella proposta di legge, consultabile sul sito di Ata, si prevedono autorizzazioni a tempo (cinque anni, che corrispondono alla durata di un contratto a canone concordato). “Così se un proprietario non ottiene l’autorizzazione, in attesa di riprovarci dopo cinque anni può stipulare un contratto a canone concordato”. “Le autorizzazioni, inoltre, sono pensate in modo modulabile in base al contesto delle singole città: si basano su una proporzione tra residenti in specifiche zone del Comune e numero di posti letto turistici. Rimangono escluse dal regime di autorizzazione l’uso della propria abitazione principale per un periodo limitato e le stanze singole all’interno della stessa. Il senso è quello di permettere la sharing economy ma non l’uso speculativo della casa”.

Overtourism: una tendenza globale –Dietro il lavoro tecnico e la mobilitazione di associazioni e comitati che si riconoscono nella campagna di Ata, infatti, c’è la naturale consapevolezza che il turismo sia una risorsa economica, ma allo stesso tempo comporti profonde modifiche al tessuto sociale e alle relazioni civiche. Soprattutto nelle città ad alta tensione abitativa, dove già da tempo è complicato trovare alloggi residenziali a prezzi accessibili. “Il tentativo è di favorire la maggior distribuzione possibile delle licenze, ovvero il principio un proprietario, una casa”. “Abitare nei centri storici – è la constatazione del ricercatore – diventa sempre più difficile. Aumentano gli sfratti per fine locazione, perché i proprietari trovano più conveniente affittare in locazione breve a uso turistico, con l’effetto di espellere migliaia di abitanti dalla città in cui sono nati o vogliono vivere”. Con conseguenze che non esita a definire “drammatiche”: “la sostituzione della popolazione residente con una popolazione intermittente, che è quella dei turisti, e la trasformazione delle città d’arte da luoghi abitati a parchi a tema turistici”. La tendenza, come detto, è globale. Però in Europa vari governi locali e nazionali stanno regolamentando il fenomeno. “Noi ci siamo ispirati all’esempio di Barcellona – racconta Salerno – dove la città è stata divisa in zone: in alcune zone non si possono aprire nuove locazioni turistiche, in alcune devono decrescere, in altre si possono aprire conservandone però il numero, in altre ancora si può farlo aumentare un po’”. Ogni quartiere, quindi, verrebbe regolamentato in base alla propria situazione. Ma di esempi, fuori dall’Italia, ce ne sono altri. Come Amsterdam o Parigi, per citarne alcuni.

Un’occasione mancata – Certo, qualunque regolamentazione deve fare i conti con le storture del sistema, a partire dalle irregolarità che già imperversano in un settore esploso negli ultimi anni. Si pensi ai 40mila posti letto fantasma rilevati (ma inesistenti per fisco e questura) nel weekend di Pasqua a Venezia. “La legge, una volta applicata, andrebbe fatta rispettare attraverso i controlli”, osserva Salerno, che conclude con un grido d’allarme. “Questa campagna ha riaperto il dibattito sui conflitti tra economia turistica non regolamentata e i diritti alla casa e ad abitare nelle città ad alta tensione abitativa che con la pandemia si era interrotto. Era un’occasione per ripensare il modello dell’industria turistica all’interno delle città d’arte italiane. Non è stato fatto e ora siamo come prima, più di prima: con una monocultura turistica che cerca di recuperare il terreno perduto. Solo che questo ritorno alla normalità non è sostenibile”.

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