di Ilaria Muggianu Scano

Il 17 giugno Renato Raccis avrebbe compiuto 100 anni. Sono gli anni del commissario tecnico dei record, Vittorio Pozzo, allenatore della nazionale negli anni Trenta e Quaranta, unico vincitore di due campionati mondiali, per giunta consecutivi, tuttora detentore imbattuto del primato. La storia è quella del giovane Renato Raccis, sfortunato attaccante sardo che per Pozzo era “erede naturale di Valentino Mazzola”. Ma il destino decide in altro modo.

Le premesse ci sono tutte. Nasce esattamente cento anni fa il giovane re Mida del calcio italiano, prematuramente stroncato dalla tisi nel pieno dell’ascesa calcistica che sembra inarrestabile. A cavallo tra i due conflitti bellici, vede la luce nella città sarda di Mandas, perla della provincia storica del Mandrolisai, densa di storia dal periodo nuragico alla nobile realtà del marchesato poi convertito in ducato, fino alla contemporanea vocazione turistica quando divenne meta dei letterati esploratori come David Herbert Lawrence, considerato uno degli intellettuali più controversi ed emblematici del XIX secolo, autore dello scabroso, per l’epoca, L’amante di Lady Chatterley, che di Mandas fece uno dei luoghi del cuore e che è accomunato al giovane calciatore mandarese dalla triste condanna della tubercolosi.

Renato Raccis nasce e cresce, dunque, vicino a Cagliari ma il talento calcistico lo conduce presto lontano dall’isola. Ancora quindicenne, Renatino viene ceduto dalla società calcistica San Giorgio di Cagliari, al Prato che pagherà la strabiliante cifra di 140mila lire per il ragazzino. Trascorrono quindi tre stagioni con la casacca pratese. Non ha ancora raggiunto la maggiore età e ha già messo a segno 71 reti su 58 partite. Nessuno ha più goal di lui. Impossibile passi inosservato agli occhi dei massimi procuratori.

Ad aggiudicarselo è il Livorno, squadra cara al Presidente Azeglio Ciampi che non lesinò mai parole di encomio e trasporto nel ricordo del bomber, condiviso con i mandaresi, nei diversi memoriali come la dedicazione dello stadio cittadino fortemente voluta dal primo cittadino Umberto Oppus. È proprio con la maglia amaranto che porta la squadra inizialmente incerta, a sfiorare lo scudetto, soffiato per un solo punto. Il titolo sarà del Grande Torino di Mazzola. Ma l’ascesa di Raccis è inarrestabile.

Arriva il 1945, nei giorni della Liberazione italiana dal dominio fascista, il bomber sardo gioca con la Juventus. Sono i giorni del memorabile derby torinese che culmina nell’esplosione di armi da fuoco e una tragica rissa sugli spalti presidiati dalle truppe tedesche. È tempo per Raccis di scrivere la storia con la casacca rossonera del Milan. È mezz’ala sinistra quando viene notato da Vittorio Pozzo. I tempi del miracolo sono vicini. Raccis ci crede. La stagione è quella del 1946-47, i diavolo rossoneri riescono nel mese di dicembre in quello che sembra un proposito ingenuo, strappare la posizione di testa all’inespugnabile Toro. Così come già aveva fatto in passato riportando vigore all’esausta compagine livornese, l’attaccante sardo fa vivere il sogno per sei mesi al Milan. La squadra meneghina ci crede fino al mese di marzo quando ancora sono ben quattro i punti di distacco dal Torino.

Raccis, settimana dopo settimana appare sempre più opaco, stanco, poco lucido, ma continua a presenziare ad ogni partita, per i medici sociali del Milan l’atleta non ha segni evidenti di alcuna patologia, finché si accascia stremato durante Milan-Triestina. Viene ricoverato. La diagnosi è di quelle che non perdonano. La tisi stronca per sempre la fulgida ascesa del ventiseienne rossonero.

A cento anni dalla nascita del numero 10 del Milan, una mostra nella città natale e il ponderoso volume biografico Renato Raccis, il bomber fermato dal destino (Carlo Delfino Editore), a cura degli storici Umberto Oppus e Mario Fadda.

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