“In questi tempi in cui le preoccupazioni sociali sono così importanti, non posso mancare di menzionare la serva di Dio Dorothy Day, che ha fondato il Catholic Worker Movement. Il suo impegno sociale, la sua passione per la giustizia e per la causa degli oppressi erano ispirati dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi”. Così si espresse Papa Francesco intervenendo, il 24 settembre 2015, al Congresso Usa, primo Pontefice a prendere la parola in quell’assemblea. La biografia di Dorothy Day è stata scritta magistralmente da Giulia Galeotti, responsabile delle pagine culturali de L’Osservatore Romano, nel volume Siamo una rivoluzione (Jaca Book). Una giornalista che racconta la storia avvincente di una sua illustre collega che incarnò perfettamente la dottrina sociale della Chiesa di Roma.

Nata nel 1897 a New York, Dorothy Day si convertì al cattolicesimo nel 1927 e sei anni dopo, nel 1933, fondò il Catholic Worker Movement, il movimento pacifista, iniziato con la pubblicazione del giornale Catholic Worker, che si spese in difesa di poveri e lavoratori. Da qui la celebre frase della donna ripresa nel titolo del libro di Galeotti: “Non siamo solo un giornale. Siamo una rivoluzione”. Una figura molto interessante nel panorama del cattolicesimo contemporaneo, soprattutto in un tempo in cui si sottolinea con forza la necessità della presenza laicale femminile nella Chiesa cattolica, in particolare ai vertici delle gerarchie e quindi della Curia romana recentemente riformata da Bergoglio proprio in questa direzione.

Dorothy Day è la testimonianza di quanto il “genio femminile”, come amava definirlo san Giovanni Paolo II, possa dare uno slancio fondamentale al cammino ecclesiale. Le sue battaglie, ben radicate nella dottrina sociale della Chiesa cattolica, sono di una lungimiranza straordinaria. Non a caso, Galeotti scrive che “per molti versi Dorothy Day ha preceduto il Concilio Vaticano II, spingendo la Chiesa a riconoscere l’obiezione di coscienza, dandole contezza dei poveri che vivono nelle grandi città, rivelandole l’esistenza di una realtà fin allora quasi invisibile, i laici”.

“Riconoscendo come temi di fede, quelli che tanti cristiani vedevano esclusivamente come temi politici, – sottolinea ancora la giornalista – Day ha anticipato molte questioni di giustizia sociale poi divenute importanti per il magistero cattolico: l’opzione preferenziale per i poveri, l’impegno attivo nel movimento pacifista, l’opposizione a razzismo e antisemitismo, l’ecumenismo, il coinvolgimento dei laici nella liturgia, una spiritualità basata sulle scritture, una Chiesa povera per i poveri, nuovi spunti per pensare alle donne e al loro ruolo di cristiane nell’istituzione e nella società. Del resto una delle ragioni dell’esistenza del Worker è l’inaccettabile divisione tra i sacerdoti e la gente. A fronte di questa enorme novità sul piano sociale e della continua contestazione della Chiesa istituzionale (averla in una diocesi ‘era come avere una bomba a orologeria’), Dorothy Day però esprime la più severa ortodossia e un certo tradizionalismo in ambiti legati ad affettività e matrimonio”.

Quando morì, il 29 novembre 1980, venne ampiamente ricordata sulle prime pagine di tutti i più grandi quotidiani americani. Appena 17 anni dopo, nel 1997, l’arcidiocesi di New York celebrò il centenario della sua nascita con l’avvio della sua causa di beatificazione e di canonizzazione. Iter tuttora in corso. “Quanto al processo di canonizzazione – ha affermato Martha Hennessy, sesta nipote della donna – Dorothy sicuramente non avrebbe voluto essere messa su un piedistallo, era convinta che il lavoro che ha fatto lei avrebbe potuto farlo chiunque; e sicuramente avrebbe pensato che i soldi necessari per portare avanti la causa sarebbero stati utili per fare tantissime cose”.

Eppure anche la nipote non ha dubbi: “Oggi però abbiamo un bisogno disperato di santi. Sarebbe una grande santa! Un grande modello per le giovani donne. Potrebbe rivitalizzare la Chiesa in un modo importantissimo”. Le fa eco Galeotti: “Sono mille i motivi per cui ne avremmo davvero bisogno. Mille più uno, perché ciascuno avrà sicuramente qualcosa da aggiungere, un aspetto che ha parlato e coinvolto proprio la sua storia personale. Qui vogliamo ricordare quello che a nostro avviso la riassume nella perfezione. Quando Dio gli chiede dove sia Abele, Caino risponde: ‘Sono forse io il custode di mio fratello?’. Dorothy Day ha risposto per tutti noi: ‘Sì, sono la custode di mio fratello’”.

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