Tutti assolti perché il fatto non sussiste. Con questa formula la Corte di appello di Perugia ha scagionato gli imputati accusati di sequestro di persona per le presunte irregolarità legate al rimpatrio di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa verso il Kazakistan nel 2013 insieme alla figlia Alua e poi entrambe tornate in Italia.

Assolti dunque gli ex capi della squadra mobile e dell’ufficio immigrazione della questura di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta. Assolti pure gli agenti di polizia Francesco Stampacchia, Luca Armeni, Vincenzo Tramma e Stefano Leoni e l’allora giudice di pace Stefania Lavore: quest’ultima è stata assolta la stessa formula dal reato di falsità ideologica. La sentenza d’appello ribalta quella di primo grado per la quale gli imputati erano stati tutti condannati: Cortese, Improta, Armeni e Stampacchia a 5 anni, Tramma a 4 anni, Leoni a tre anni e sei mesi. Erano stati tutti riconosciuti responsabili di sequestro di persona. Ora sono stati tutti scagionati.

Tutti gli imputati hanno comunque sempre rivendicato la correttezza del loro comportamento. Al termine della lettura della sentenza, Cortese e Improta si sono abbracciati. Presenti in aula molti loro colleghi che hanno accolto con un applauso la lettura del dispositivo. Grande soddisfazione è stata espressa dal Capo della Polizia Lamberto Giannini. Nessun commento invece dalla Procura generale che aveva chiesto la condanna per tutti gli imputati, ad eccezione di Lavore, seppure con pene diverse dal primo grado. “L’assoluzione di Renato Cortese è il segno di una giustizia che, quando vuole, riesce sempre a ritrovare il filo della verità. A Cortese l’abbraccio e la stima mia e dell’intera commissione antimafia dell’Ars”, ha scritto in una nota Claudio Fava.

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