Il referendum numero 2 è quello dagli effetti in potenza più devastanti – e immediati – sul sistema giudiziario. Il titolo del quesito al voto il 12 giugno (scheda arancione) è il seguente: “Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell’ultimo inciso dell’art. 274, comma 1, lettera c), codice di procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale”. Per capirne la portata servono alcune nozioni base di procedura penale. Primo: cosa sono le misure cautelari? Sono provvedimenti urgenti e temporanei che limitano, più o meno in profondità, la libertà personale dell’indagato/imputato, emessi da un giudice – su richiesta del pubblico ministero – prima che il processo arrivi a sentenza definitiva (perlopiù in fase di indagini preliminari, ma non necessariamente).

Le misure cautelari – Quando si pensa a una misura cautelare, di solito viene in mente la più afflittiva (cioè la più incidente sulla libertà) tra quelle previste dal codice: la custodia in carcere. Ma non è l’unica. Ci sono gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in luogo di cura, il divieto e l’obbligo di dimora, il divieto di espatrio, l’obbligo di firma, l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento alla persona offesa: tutte misure cosiddette “coercitive“. Poi ci sono quelle “interdittive“, che impediscono al soggetto colpito di esercitare ruoli e facoltà: la sospensione da un pubblico ufficio o servizio, la sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale, il divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione o di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali.

I presupposti – Le misure cautelari, intervenendo prima di una condanna definitiva, si pongono astrattamente in contrasto con la presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione. Per applicarle quindi servono requisiti molto stringenti: il primo, generico, è la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Il secondo è il riconoscimento, da parte del giudice, di una delle tre esigenze cautelari previste dall’articolo 274 comma 1 del codice di procedura penale (quello su cui interviene il referendum). Eccole:

  • Pericolo di inquinamento delle prove: “Quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze (…) in relazione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova” (lettera a);
  • Pericolo di fuga: “Quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga” (lettera b);
  • Pericolo di reiterazione del reato: “Quando (…) sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede” (lettera c).

Le conseguenze del sì – Cosa propone il referendum? Di cancellare dalla lettera c) le parole “o della stessa specie di quello per cui si procede”. Se vincessero i sì diventerebbe impossibile disporre qualsiasi misura cautelare – non soltanto il carcere – motivandola con il rischio che l’indagato (o imputato) commetta di nuovo il reato di cui è accusato o altri simili, se questi non implicano l'”uso di armi o di altri mezzi di violenza personale”. Gli esempi più immediati sono i reati dei colletti bianchi: corruzione, concussione, turbativa d’asta, bancarotta (con questa norma la maggior parte degli arresti di Mani pulite non ci sarebbero mai stati). Ma esistono anche vari delitti “da strada” che non implicano l’uso di violenza nè di armi: lo spaccio e la produzione di stupefacenti (anche in grandi quantità), i furti, le estorsioni. Tutte queste fattispecie, peraltro, prevedono l’arresto obbligatorio in flagranza: se il referendum avesse successo, quindi, resterebbe inevitabile per le forze dell’ordine ammanettare lo spacciatore di quartiere che cede la dose, o il pubblico ufficiale che intasca la mazzetta. Ma all’udienza di convalida, di fronte al giudice per le indagini preliminari, il pubblico ministero sarebbe costretto – in 99 casi su cento – a chiedere la scarcerazione per mancanza di esigenze cautelari: il pericolo di reiterazione del reato, infatti, è la motivazione con cui sono applicate la maggior parte delle misure, perchè gli altri due presupposti sono assai più specifici e difficili da dimostrare.

Le posizioni politiche – Un festival dell’insicurezza sociale, insomma. Lo ha capito bene Giorgia Meloni, che ha schierato fin da subito Fratelli d’Italia contro questo quesito: “La proposta referendaria sulla carcerazione preventiva impedirebbe di arrestare spacciatori e delinquenti comuni che vivono dei proventi dei loro crimini. Noi vogliamo fermare la criminalità senza se e senza ma”, ha detto. Sembra sempre più confuso invece Matteo Salvini, che festeggia le misure cautelari applicate alla famiglia di presunti spacciatori del Pilastro di Bologna – a cui citofonò nel gennaio 2020 – senza rendersi conto che con il suo referendum quei presunti spacciatori sarebbero a piede libero. “La Lega si qualifica come partito di destra e – in tutto il mondo, ma evidentemente non in Italia – la destra vuole legge e ordine. Forse è troppo pretendere la coerenza, ma un po’ di buon senso non guasterebbe”, scriveva l’anno scorso Piercamillo Davigo sul Fatto. Anche le associazioni contro la violenza di genere si oppongono al quesito: se passasse, infatti, diventerebbe molto difficile disporre divieti di avvicinamento e altre misure precauzionali a tutela delle donne minacciate, visto che non sempre – almeno nelle fasi iniziali – gli stalker usano violenza fisica. Infine, non regge l’argomento dei sostenitori del sì secondo cui molti dei sottoposti a misure cautelari risulterebbero poi innocenti: secondo i dati del ministero della Giustizia riferiti al 2021, meno del 10% delle 32.805 misure emesse nel corso dell’anno ha avuto come esito un’assoluzione definitiva (appena l’1,6%) o non definitiva, o un proscioglimento a vario titolo.

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