Cinema

Settembre, se l’incomunicabilità invece di esplodere nel dramma si scioglie in timidi e solari sorrisi

Sono sei (più sei) i personaggi delle tre storie che si incrociano, proposte nel film di Giulia Steigerwalt, attrice, sceneggiatrice italianissima della scuderia Groenlandia di Matteo Rovere.

di Davide Turrini

Tentennamenti, titubanze, imbarazzi, indecisioni, pause. Alla ricerca di un filo da seguire, di un vuoto da colmare. Sono sei (più sei) i personaggi delle tre storie che si incrociano, proposte in Settembre di Giulia Steigerwalt, attrice, sceneggiatrice italianissima della scuderia Groenlandia di Matteo Rovere.

Francesca (Barbara Ronchi), casalinga con marito assente (è sempre fuori a giocare a carte fino a notte fonda), si confida e condivide le giornate con l’amica Debora (Thony), a sua volta sposata e lasciata in disparte dal marito (assente anche lui). Guglielmo (Fabrizio Bentivoglio) è un medico separato, solitario, vagolante in soggiorno tra sigarette, porzioncine di cibo in vaschetta, e l’incontro in auto con Ana (Tesa Litvan) una prostituta diciottenne che paga regolarmente senza far sesso. L’adolescente Maria (Margherita Rebeggiani) viene informata dal suo coetaneo Sergio (Luca Nozzoli), figlio di Francesca, che un altro loro amico vuole avere un rapporto con lei. Quando un esame ospedaliero di Francesca sembra avere esiti pessimi, Maria avrà bisogno di aiuto da Sergio per la sua prima volta e Ana incontrerà un ragazzo che le vuole bene ma che si schifa dal suo lavoro, forse qualcosa nella vita dei personaggi di Settembre cambierà.

Operetta minimalista, vagamente incline a un certo art house statunitense dialogante, dal tono generale sommessamente ironico, dove l’incomunicabilità invece di esplodere nel dramma si scioglie in timidi, solari sorrisi. Steigerwalt inquadra allo stesso identico modo tutti i protagonisti (campo e controcampo tradizionale, qualche scavalcamento tanto per gradire) e non varia mai il ritmo del racconto che pare in un buffo surplace dall’inizio alla fine. Ne esce un ritratto di anime in scena tutte egualmente fragili, specchi speculari uno dell’altra, con predilezione per una saggezza e una lucidità femminile che sovrastano la più irsuta, generica dozzinalità sentimentale maschile. Barbara Ronchi al centro del cerchio, tra piastrelle della cucina e maglioncino dell’Oviesse, parla con gli occhi (azzurri) e dimostra che ha un futuro radioso davanti.

Settembre, se l’incomunicabilità invece di esplodere nel dramma si scioglie in timidi e solari sorrisi

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