“Era evidente che una delle prime conseguenze della diminuzione del valore delle azioni di Banca Popolare di Vicenza sarebbe stata causa di un malumore dei soci in sede assembleare e, quindi, anche una difficoltà, in particolare, del presidente Zonin ad essere rieletto a tale incarico”. Il 24 maggio scorso Emanuele Giustini, ex vicedirettore generale della banca, condannato in primo grado a sei anni e tre mesi, si è presentato spontaneamente ai pubblici ministeri di Vicenza che stanno indagando per bancarotta fraudolenta sullo stato di insolvenza dell’istituto di credito, che ha gettato sul lastrico decine di migliaia di piccoli risparmiatori. Giustini ha deciso di raccontare tutto. E nella consapevolezza degli illeciti coinvolge non solo l’ex presidente Giovanni Zonin (anch’egli condannato a Vicenza), ma il consiglio di amministrazione (che venne archiviato in massa alla fine dell’istruttoria).

Si tratta di un verbale, che è ora un allegato della memoria che l’avvocatessa Concetta Miucci, dello studio Dominioni di Milano, ha depositato il 30 maggio durante il processo di appello in corso a Venezia. Un colpo di scena, perché se è vero che Giustini aveva già accusato Zonin a Vicenza, adesso precisa fatti e circostanze e sembra allargare il sospetto di responsabilità a tutti i vertici di PopVicenza, a distanza di 10 anni dai fatti e a 7 anni dall’avvio delle inchieste.

IL PENTIMENTO – “Ho maturato – anche in coerenza con i valori morali in cui credo – la decisione di ‘specificare al meglio e con la massima trasparenza’ le circostanze che ho vissuto direttamente e che ho anche collaborato a realizzare tra il 2007 e il 2015. All’esito di questo percorso di maturazione, voglio innanzitutto chiarire quali fossero le mie responsabilità, rispetto alle quali non voglio più sottrarmi, e ritengo inevitabile precisare anche le responsabilità di coloro che hanno deciso e pianificato le prassi di lavoro che hanno determinato la crisi della Banca”. Comincia così il verbale in cui Giustini ammette la pratica sistematica delle “azioni baciate”, ovvero di finanziamenti concessi per far acquistare azioni della banca stessa.

“TUTTI I VERTICI SAPEVANO” – “Contrariamente a quanto dichiarato, ero consapevole, al pari ‘dei vertici della Banca’ che le azioni finanziate, ovvero le cosiddette ‘operazioni baciate’, non erano dedotte dal patrimonio di vigilanza e, quindi, i relativi importi contribuivano al raggiungimento dei requisiti patrimoniali prudenziali”. Poi gli aumenti di capitale. “In secondo luogo, ero personalmente a conoscenza, così come ‘il vertice della Banca’, che, come avvenuto per le operazioni di c.d. mini aucap 2013 e 2014, anche gli acquisti finanziati di azioni erano soggetti alla disciplina del codice civile, ovvero che anche l’operatività sul mercato secondario, ovvero le operazioni di aucap ordinarie, erano assoggettate alle regole previste”. Una montagna di soldi fittizi. “In terzo luogo, per quanto riguarda la conoscenza dell’ammontare del ‘fenomeno delle baciate’, ero consapevole che si trattasse di un controvalore significativo, di alcune centinaia di milioni di euro, anche se non avevo conoscenza dell’importo preciso, sicuramente era un fenomeno diffuso e importante ed ero consapevole dell’impatto significativo di esse sul patrimonio di vigilanza”.

“LA METICOLOSA INGERENZA DI ZONIN” – Secondo Giustini il Cda aveva affrontato il tema delle “baciate” in più occasioni e cita i nomi di alcuni componenti che sono stati prosciolti. Ma soprattutto, in una memoria accusa Zonin. “Il fenomeno delle operazioni baciate era conosciuto a tutti i livelli della banca, a partire dal Presidente Zonin. C’era una meticolosa attività di ingerenza della Presidenza nella operatività della banca. Zonin era il vero amministratore delegato della banca, tutte le decisioni passavano per la sua approvazione e condivisione. Prima di ogni Cda Samuele Sorato (allora direttore generale, ndr) passava a discutere con Zonin le delibere che sarebbero state presentate. Comunque tutte le decisioni erano validate da Zonin in queste anteprime, lui approvava, modificava e cancellava”.

“I PIANI ERANO IRREALIZZABILI” – Giustini punta il dito anche contro l’ex dirigente che si occupava di bilanci, Massimiliano Pellegrini, assolto in primo grado, e l’ex direttore generale Samuele Sorato (il cui processo, stralciato, è ancora in corso). “A margine di alcune riunioni del Comitato di Direzione, a partire dal 2012, ho riferito in almeno 3-4 occasioni a Massimiliano Pellegrini, a seguito di sue esplicite richieste, che si trattava di una prassi relativa ad un controvalore di circa 300-400 milioni di euro. Infine, in ordine ‘all’occultamento’ della operatività dei finanziamenti correlati, sin da subito Sorato aveva dato indicazione di nascondere questa ‘prassi di lavoro’, di ‘non farne parola’, ‘di non mettere niente per iscritto’ e, tra l’altro, di non inserire alcuna indicazione nelle delibere di fido”. L’attacco è frontale, a cominciare dal Cda, in base a quello che Giustini aggiunge nella memoria depositata dal suo avvocato che ne chiede l’interrogatorio davanti ai giudici d’appello. “Da quando sono arrivato in banca a fine 2007 tutti i piani industriali erano irrealizzabili, perché condizionati da elementi strutturali assolutamente vincolanti, ad esempio la dimensione eccessiva dei crediti, acquisti di banche e sportelli non produttivi. Tuttavia furono sempre approvati, perché avevano due obiettivi: alimentare e sostenere il prezzo dell’azione, stressare le strutture commerciali continuamente sotto pressione. Del fatto che gli obiettivi fossero irrealizzabili erano consapevoli sia il Cda, sia le altre strutture della banca”.

“IL PRESIDENTE RINGRAZIO’ ZILIOTTO”- Giustini ricostruisce poi l’operazione effettuata da Giuseppe Ziliotto, allora presidente di Confindustria Vicenza, nonché consigliere di amministrazione, assolto in primo grado perché il fatto non costituisce reato. “Ziliotto aveva bisogno di un finanziamento per acquistare partecipazioni per la sua azienda. Io gli proposi di aumentare il finanziamento per acquistare azioni, lui accettò e il finanziamento fu portato da 2,5 milioni a 12,5 milioni di euro. Ha accettato a condizione che il presidente (Zonin, ndr) ne fosse a conoscenza, nel senso che il presidente accettasse che lui acquistasse un importo di azioni così importante dato che Ziliotto non era in buoni rapporti con Zonin, oppure che il presidente fosse consapevole di una correlata di importo così rilevante e che il presidente avesse una buona considerazione di Ziliotto in un frangente di difficoltà della banca nel collocare le azioni”. Quindi Zonin sapeva. Giustini: “A seguito dell’effettuazione dell’operazione, Ziliotto poi mi disse che il presidente al margine di una seduta Cda lo aveva ringraziato per l’operazione di acquisto”.

“IN AUTO ZONIN MI CONFERMO’…”. Sulla conoscenza di Zonin delle “baciate”, Giustini rivela un episodio. “Il 5 giugno 2019, nell’intervallo dell’udienza del processo, in auto, presenti Ziliotto che guidava, gli avvocati Dominioni e Ambrosetti, Zonin mi confermò che lui conosceva la prassi delle ‘baciate’, pur continuando a dire che conosceva quelle parziali, ma il meccanismo è lo stesso. Mi stupisco molto del fatto che Zonin abbia negato ogni sua conoscenza in sede di sue dichiarazioni spontanee e per tutto il processo”.

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