C’è di che ragionare sull’interesse della Procura della Caltanissetta nei confronti di Paolo Mondani, giornalista di Report, autore del reportage sulla strage di Capaci che ripropone la faccenda del possibile ruolo nella mattanza dei neofascisti, in particolare di Stefano Delle Chiaie – pista la cui fondatezza è stata confermata dall’ex pm Scarpinato ieri a Rainews.

Mondani ha reso noto in serata, sempre nella giornata di ieri, durante un talk show prodotto da BlogSicilia (e ripreso dalle agenzie Ansa e Dire), che venne convocato dai magistrati di quella Procura un mese prima di mandare in onda il suo servizio a “Report” su Rai 3: volevano capire perché stava facendo quelle interviste (che poi abbiamo visto in tv). Caspita!

Siccome non aveva mandato in onda nulla, né scritto nulla, evidentemente si può legittimamente ritenere che c’era un interesse importante, e preventivo diremmo, sul suo lavoro. Comunque in quell’occasione Mondani oppose il segreto professionale su tutte le cose che lo riguardavano e gli fu spiegato che se avesse mandato in onda alcune di quelle cose lo avrebbero smentito. Prima ancora di sapere cosa avrebbe mandato in onda, o forse sapendolo. Poi lo hanno davvero smentito.

Però. C’è un però. Accusandolo con un comunicato stampa – pezzo raro di questi tempi da parte di una Procura della Repubblica – di aver manipolato il suo testimone, l’ex brigadiere Walter Giustino, a cui avrebbe ‘messo in bocca’ la faccenda di Delle Chiaie, mentre a guardare il reportage si può desumere più semplicemente che sia proprio Giustino la fonte. C’è una accusa più grave per un giornalista?

Mondani ha detto a BlogSicilia di aver appreso dal decreto di perquisizione che gli è stato fatto martedì scorso di essere stato pedinato, filmato e intercettato nel periodo precedente alla messa in onda del servizio: perché questa scelta da parte degli inquirenti nisseni? In queste ore molti si interrogano sui possibili danni del lavoro di Mondani: avrà mandato all’aria le indagini? Anche nell’incontro che ebbe in procura gli dissero: “Ma lei non rischia di bruciare le indagini?”, e qui, santo dio, c’è da dirlo chiaro e tondo: sono trent’anni che gira come una zanzara indomita quel verbale su Delle Chiaie e Mondani sarebbe lo sfascista?

Per non dire che oggi Marco Lillo ci informa che la nota sarebbe stata prodotta dai Carabinieri di Palermo nel ’92 e che la fonte sarebbe stata proprio Maria Romeo, intervistata da Mondani, compagna del fu Alberto Lo Cicero, pentito che disse di aver incontrato Delle Chiaie a Capaci ma alla Procura nissena non risulta, lei stessa, Maria Romeo, informatrice – nel mondo mafioso alla fine lo sono quasi tutti. E poi, sempre Lillo ci dice che fu l’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera a stabilire che Delle Chiaie non era in Sicilia e la questione finì lì.

Ora: se nella faccenda ha messo le mani La Barbera voi capite che tra lui e il pentito Lo Cicero noi tendiamo a credere a quest’ultimo. Ma al di là della pista neofascista – che profuma di verità alla luce della storia d‘Italia – qui la faccenda si presenta sempre più chiara: i giornalisti fanno il loro lavoro, vivendo soprattutto di fonti riservate, che vanno maneggiate con cura e responsabilità, come pare faccia Mondani, ma che vanno sempre tutelate. Le Procure facciano il loro. Sempre che tra loro si parlino.

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