Anche oggi il rublo si rafforza. Per comprare un dollaro bastano appena 57 monete russe, nei giorni appena dopo l’invasione ne servivano 139. Del resto il fiume di denaro che affluisce a Mosca sotto forma di pagamento per i suoi idrocarburi non si è mai fermato. Anzi, nella prima parte del 2022, i rincari di gas e petrolio favoriti anche dalla guerra hanno alzato di circa il 50% gli incassi russi. La sola Italia ha pagato lo scorso aprile a Mosca 2,3 miliardi di dollari, quasi il triplo rispetto all’aprile 2021. La Russia del resto è il primo paese al mondo per riserve di gas (49mila miliardi di metri cubi) e il secondo per produzione dopo gli Stati Uniti. Ogni anno dal sottosuolo di Mosca escono 690 miliardi di metri cubi, alle quotazioni attuali (1 euro circa al metro cubo) un tesoro da 690 miliardi (a cui vanno naturalmente sottratti i costi di produzione e trasporto). La forza e al contempo debolezza del gas è la sua dipendenza dai gasdotti che rende più complicato cambiare sia clienti sia fornitori. Il che lo rende una leva negoziale e di “ricatto” più efficace sia per chi compra che per chi vende.

Il 74% del gas prodotto in Russia finisce in Europa con Italia e Germania primi clienti per valore assoluto degli acquisti. La Cina acquista appena un quinto del gas comprato dall’Unione europea. Esiste un progetto per aggiungere un nuovo gasdotto a quello che già unisce Russia e Cina, condotta in grado di traportare 10 miliardi di metri cubi l’anno (come il Tap) che raddoppierebbe le capacità di fornitura di Mosca per Pechino a prescindere dalle navi che trasportano gas liquefatto. Il finanziere George Soros ha scritto ieri una lettera a Mario Draghi per spingerlo ad un’azione più decisa sul gas dove, secondo Soros, l’Europa e non la Russia, ha il coltello dalla parte del manico. “Gli ho scritto ieri una lettera in cui dico che l’Europa, che detiene i gasdotti, ha in realtà una posizione di forza maggiore rispetto alla Russia”, ha detto Soros. “Siamo il mercato più grande, possiamo anche essere il compratore più grande. Una politica degli acquisti messi in comune su prodotti come gas, petrolio, minerali, sarebbe un’azione concertata formidabile, è arrivato il momento di un’azione concertata sugli acquisti”, ha detto oggi la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde.

L’Europa per ora discute faticosamente la possibilità di un embargo sul petrolio russo su cui l’intesa sembra lontana. A differenza del gas il petrolio è più mobile. Viaggia soprattutto su nave. Questa è un’arma a doppio taglio. Per l’Europa è meno complicato trovare fornitori alternativi, per la Russia è più facile dirottare le forniture verso altri clienti. Ciò non di meno un serio embargo europeo avrebbe senza dubbio un effetto significativo visto la preponderante quota di export russo verso il Vecchio Continente.

Sul gas si può agire con maggior efficacia ma a garantire al Cremlino i flussi di denaro più corposi è, in tempi normali il petrolio che si vende oggi a 115 dollari al barile, il 67% in più di un anno fa. La Russia è il terzo produttore mondiale dopo Stati Uniti e Arabia Saudita e ogni giorno immette sul mercato una decina di milioni di barili, in larga parte poi venduti all’estero. Nel 2021 arrivavano in Europa 2,3 milioni di barili di greggio russo al giorno. Alle quotazioni attuali sono carichi che valgono 260 milioni di dollari al giorno. Il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha detto che a causa delle sanzioni quest’anno le esportazioni di petrolio dovrebbero scendere del 17%. Ma con la crescita delle quotazioni la diminuzione delle quantità dovrebbe essere ben più che compensata dal valore.

Il primo importatore singolo a livello globale è la Cina che quotidianamente compra 1,3 milioni di barili. Il petrolio più del gas è la vera miniera d’oro di Mosca, insieme ai prodotti petroliferi già raffinati, rappresenta circa il 40% dell’export di Mosca e porta in Russia oltre 200 miliardi di dollari l’anno. Dopo l’invasione dell’Ucraina Pechino è rimasta il cliente più importante e anzi ha intensificato gli acquisti, lo stesso ha fatto l’India. Per uno strano effetto collaterale delle sanzioni l’Italia si è avvicinata all’Olanda come secondo importatore (la raffineria siciliana di Agusta di proprietà russa ora utilizza solo petrolio della casa madre perché non può ottenere finanziamenti per comprarne altro).

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