Volano stracci tra Claudio Fava e Nello Musumeci. A tenere banco è ancora la questione di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro, condannati per contiguità alla mafia e impegnati nelle comunali palermitane. E a pochi giorni dai trent’anni della strage di Capaci, a meno di un mese dalle amministrative palermitane, i toni si fanno sempre più concitati. A sferrare un durissimo attacco è stato Fava, presidente della Commissione regionale antimafia, che ha invitato il governatore Musumeci, reo di aver incontrato Marcello Dell’Utri, a non presentarsi alla commemorazione delle stragi: “Musumeci si tenga lontano, il 23 maggio e il 19 luglio, da chi ricorda i nostri morti. Se frequenti i condannati per mafia non hai titolo per frequentare il ricordo delle vittime di mafia. Provare a fare l’una e l’altra cosa è solo una bestemmia. Delle peggiori”, ha attaccato Fava, anche’egli candidato alla presidenza della Regione (ancora però senza appoggio dei partiti). Musumeci, che aspira alla riconferma, risponde con un post al vetriolo: “Si dovrebbe vergognare perché è un parolaio che vive di rendita e cerca ogni giorno un titolo di giornale, mentre da candidato alla presidenza non ha avuto neppure la buona creanza di dimettersi da presidente dell’Antimafia regionale, come invece feci io nel 2017. L’unica cosa davvero stucchevole è il moralismo di chi si offre, come candidato presidente, agli eredi di quel “sistema antimafioso” che ha guidato la Sicilia e che oggi cerca di farsi vivo di nuovo, magari sotto mentite spoglie”.

Il j’accuse di Fava – La polemica sollevata dall’attivismo politico di Dell’Utri e Cuffaro, che sostengono entrambi il candidato sindaco del centrodestra Roberto Lagalla, è da giorni tema caldo nel capoluogo siciliano. Da Luigi Patronaggio ad Alfredo Morvillo, fino a Maria Falcone e al Centro studi Pio La Torre, tutto il mondo dell’antimafia ha espresso preoccupazione: “I candidati prendano le distanze”, aveva chiesto la sorella del giudice ucciso a Capaci. Ma ora l’intervento di Fava si spinge oltre, sostenendo che il problema non siano tanto i due condannati, ma chi domanda loro sostegno politico. “Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri non sono stati condannati all’esilio, alla gogna civile o all’obbligo perpetuo del silenzio ma alla galera. L’hanno scontata e, come pena accessoria, non potranno più né votare né essere eletti. Ma conservano il pieno diritto di dire quello che pensano. Meno comodo è prendersela con chi è andato a cercarli, a richiederne benedizioni e raccomandazioni elettorali: e infatti sui questuanti eccellenti tacciono tutti, compresi i columnist della nobile stampa antimafiosa”, attacca il presidente dell’antimafia.

L’incontro a Palermo – Il riferimento è all’incontro avvenuto un paio di settimane fa all’hotel delle Palme, in pieno centro a Palermo, tra Marcello Dell’Utri e Nello Musumeci. In quello stesso albergo Dell’Utri ha d’altronde incontrato nei mesi scorsi tutti i vertici del centrodestra siciliano, a riprova del suo impegno nella fase pre-elettorale, quando il centrodestra schierava addirittura sei candidati. In questa fase ancora concitata, quando ancora la coalizione non si era ricompattata a favore di Lagalla, al suo cospetto è apparso anche il presidente uscente. Un incontro dapprima sminuito dal braccio destro di Berlusconi, che al fattoquotidiano.it aveva detto di avere “solo parlato di libri” per poi rivelare a Repubblica di avere fatto da intermediario tra Musumeci e Berlusconi, intercedendo a favore del presidente uscente per la sua ricandidatura. Dell’Utri, d’altronde, ha detto con chiarezza che Musumeci è il candidato naturale alla presidenza, pure andando contro il suo (ormai ex?) pupillo, Gianfranco Miccichè, il presidente dell’Assemblea regionale che da mesi osteggia in toni piuttosto aspri il bis del presidente uscente.

L’appoggio a Lagalla – Così era stato pure per Roberto Lagalla: l’ex senatore forzista – condannato a sette anni per concorso esterno – aveva puntato tutto sull’ex rettore, che infatti pian piano ha sbaragliato tutti gli altri contendenti, restando come last man standing alla corsa alla carica di primo cittadino. L’appoggio di Dell’Utri a Musumeci lascia dunque pensare che in Regione le probabilità per il bis dell’uscente siano altissime. Per questo Fava sottolinea: “Musumeci è andato in udienza da Dell’Utri, che lo ha benevolmente accolto, chiedendo un’intercessione con Berlusconi per la propria ricandidatura”. E punta il dito: “Per me Dell’Utri può parlare con chi vuole, è un suo diritto. Il Presidente della Regione Siciliana, lui no, non può parlare con chi vuole: soprattutto se il suo interlocutore è un condannato in via definitiva per mafia. Avergli chiesto un’intercessione, un favore, un’apertura di credito politico su Roma ne fa, subito, un presidente dimezzato, un candidato compromesso, un uomo di parte. E della parte sbagliata”.

L’intervento di Fiandaca – Un attacco durissimo che segue l’intervento di Giovanni Fiandaca, professore emerito di Diritto penale che domenica – intervistato da Live Sicilia – ha ricordato che “l’articolo 27 della Costituzione attribuisce alla pena, come scopo principale, una finalità rieducativa, o risocializzatrice, o riabilitativa che dir si voglia”, per cui “sarebbe ingiusto e incostituzionale pretendere di criticarli per il semplice fatto che da ex condannati, per reati di contiguità mafiosa, intendono continuare a esercitare un ruolo politico attivo, eventualmente condizionando le dinamiche politico-elettorali”. Ma si dice d’accordo con il cognato di Giovanni Falcone, intervenuto nei giorni scorsi: “Io comprendo e rispetto Alfredo Morvillo”, sottolinea. “Se colgo bene il significato profondo delle sue parole, sono senz’altro d’accordo. Le intendo, mi pare di poter dire, nel senso che il dibattito politico non ha fatto quel salto di qualità e altresì non si è realizzato quel rinnovamento personale del ceto politico che ci si sarebbe dovuti attendere dopo le stragi e dopo le tragedie che abbiamo sperimentato”.

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