Un incendiario quando c’è un estremo bisogno di pompieri. Mentre l’Unione europea manifesta pubblicamente la “necessità di pace e di un rapido cessate il fuoco“, prima con Macron, poi con Scholz e infine anche con Mario Draghi, andato fino a Washington per portare alla Casa Bianca il messaggio dei principali leader europei, il primo ministro britannico continua ad alimentare le fiamme di un conflitto innescato da Vladimir Putin ma che, a oltre due mesi dall’invasione e decine di migliaia di morti, si è già allargato al di fuori dei confini ucraini. Le sanzioni imposte alla Russia colpiscono anche le economie europee, l’aumento dei prezzi dell’energia sono già una realtà e rischiano di innescare una crisi anche nei Paesi dell’Ue, senza dimenticare che la concentrazione di armi in un Paese in guerra e di truppe Nato ai suoi confini potrebbe provocare un incidente che rischierebbe davvero di trascinare altri Paesi in un conflitto su larga scala. Ma se l’Europa è la prima frontiera, sia economica che militare, di un ipotetico allargamento dello scontro, dopo la Brexit e grazie all’indipendenza da gas e petrolio russo Londra teme molto meno le ripercussioni di uno scontro con la Federazione.

Questo, fin da prima che Vladimir Putin ufficializzasse l’intenzione di invadere il Paese di Volodymyr Zelensky, sembra non preoccupare eccessivamente Johnson e i membri del suo governo. L’ultima uscita del premier è di poche ore fa, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente finlandese, Sauli Niinisto, a Helsinki, dove l’inquilino del 10 di Downing Street ha ribadito la disponibilità della Gran Bretagna a entrare ufficialmente in guerra contro Mosca nel caso di un attacco alla Finlandia: “Il patto militare firmato oggi dal Regno Unito con la Finlandia, come l’analoga dichiarazione solenne sottoscritta con la Svezia, prevede la possibilità di assistenza militare britannica diretta nel caso di un ipotetico attacco della Russia – ha spiegato – Nell’eventualità di un disastro, di un attacco a uno dei nostri Paesi, ciascuno interverrebbe per dare assistenza all’altro. Assistenza militare inclusa”.

Evenienza che vedrebbe probabilmente intervenire al fianco dei due Paesi anche l’Unione europea, dato che i Trattati prevedono la possibilità di una mobilitazione militare in caso d’attacco a uno dei Paesi membri, ma che Bruxelles ha sempre ritenuto di non dover esplicitare pubblicamente. A differenza di Londra che, così, alimenta un pericoloso gioco al rialzo con il capo del Cremlino che, fino ad oggi, ha dimostrato di non aver alcuna intenzione di indietreggiare di fronte alle minacce provenienti dal blocco Nato-Ue.

Tra i primi a provocare la reazione di Mosca, appena tre giorni dopo l’invasione e alla fine di settimane di colloqui tra Putin e i leader europei nel tentativo di evitare un’escalation che il capo del Cremlino aveva però già deciso, fu la ministra degli Esteri, Liz Truss, che aveva assicurato sostegno alla partecipazione di “volontari” britannici alla guerra in Ucraina. Il portavoce di Johnson aveva però già portato lo scontro a un livello superiore. “Le sanzioni mirano a far cadere Putin”, aveva dichiarato costringendo Downing Street a una frettolosa rettifica: “Non stiamo cercando nulla in termini di cambio di regime – precisarono – Quello di cui stiamo parlando chiaramente qui è come fermare la Russia che cerca di soggiogare un Paese democratico”. Fu proprio questo atteggiamento di Londra a dare al Cremlino la possibilità di mettere sul tavolo l’opzione del conflitto nucleare: Putin, proprio in seguito a quelle parole, come specificato poi dal portavoce Dmitry Peskov, ordinò l’allerta del sistema di deterrenza nucleare ai confini.

Esattamente due mesi dopo, il 27 aprile, toccò al viceministro della Difesa, James Heappey, provocare di nuovo Mosca dicendosi favorevole all’uso delle armi del Regno da parte degli ucraini per attacchi in territorio russo. Parole che hanno stravolto irrimediabilmente la prospettiva delle forniture del blocco Nato-Ue a Kiev in funzione difensiva, dando alla Russia il diritto di considerare i Paesi che hanno deciso di inviare armamenti all’esercito di Zelensky come parte attiva nel conflitto. In quell’occasione, però, il Cremlino rispose con ironia, senza ulteriori passi in avanti, con la portavoce Maria Zakharova che su Facebook si limitò a scrivere: “La profondità” del viceministro della Difesa “è giusto inferiore all’intelligenza della titolare britannica degli Esteri”.

I motivi per i quali l’atteggiamento prudente e dialogante assunto dall’Unione europea si scontri con quello aggressivo e provocatorio del Regno Unito sono sia di tipo economico che geopolitico. Innanzitutto, dopo i travagliati colloqui che hanno preceduto la Brexit, il governo di Londra non ha perso occasione per rimarcare lo ‘splendido isolamento’ britannico da Bruxelles. Lo dimostra anche l’indicativo silenzio del governo britannico dopo il discorso con il quale Macron ha annunciato al volontà di creare una nuova “comunità politica europea” allargata anche ai Paesi extra-Ue, citando nello specifico proprio la Gran Bretagna. D’altra parte, dopo l’uscita dall’Unione, il già forte legame tra il Regno e gli Stati Uniti si è rinsaldato ancora di più, con Washington che, come dimostrato dall’atteggiamento della Casa Bianca nelle ore che hanno preceduto l’arrivo di Draghi, non ha alcuna intenzione di sedersi a un ipotetico tavolo delle trattative con Putin, puntando ancora sul logoramento militare ed economico della Federazione. Su questo punto Londra è totalmente allineata.

Un altro fattore decisivo è la quasi totale indipendenza dalle risorse energetiche della Russia. Mentre l’approvvigionamento di petrolio è legato solo per un 11% del fabbisogno nazionale al greggio russo, rispetto a una media europea del 34% a novembre 2021, quindi facilmente sostituibile con quello di altri fornitori, sul gas la situazione è ancora più semplice: Londra, se si esclude la produzione nazionale, si rifornisce quasi esclusivamente da Norvegia e Qatar e non è in alcun modo esposta alle decisioni di Vladimir Putin in materia. Se a questo si aggiunge che, non essendo più membro dell’Unione europea e territorialmente distante dai confini russi, non teme un coinvolgimento immediato e diretto in caso di allargamento del conflitto a ovest, ecco perché Boris Johnson può permettersi di continuare a minacciare la guerra.

Twitter: @GianniRosini

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