di Marco Bertolini

Il 9 maggio, smentendo gli analisti che prevedevano grandi dichiarazioni da parte della Russia, è stata solo l’ennesima occasione per i leader delle due potenze che si stanno sfidando direttamente sul campo di battaglia di mettere in mostra le proprie arti retoriche.

Da una parte abbiamo un Putin che si mostra sempre uguale a se stesso e, in stile “sovietico”, cita tutto l’armamentario classico possibile per cercare di giustificare il suo popolo, nonostante il controllo totale del sistema informativo e una guerra che lo vede in grossissima difficoltà. Guardando questa parata si ha la sensazione che tutto sia stato studiato per colpire l’immaginario del russo “medio” e non noi occidentali che, guardando questa finta dimostrazione di forza (una parata), non possiamo che cogliere il fuori fuoco rispetto a una situazione reale delle forze armate, più brave a sfilare che a combattere sul campo.

Dall’altra parte, e all’antitesi, non si può però non cogliere nelle riprese e nella scenografia del discorso di Zelensky la volontà di colpire l’immaginario occidentale più che quello del suo popolo. Stile giovane, sfondi in movimento e, soprattutto, l’immancabile vestiario casual, in questo caso maglietta a maniche corte.

Putin in giacca e cravatta sembra quasi rappresentare, nella narrazione propagandistica in cui inevitabilmente siamo immersi, il vecchio, il passato che ripropone schemi da guerra fredda, mentre la maglietta e lo stile “casual” e cool del presidente ucraino sembrano voler colpire, più che gli ucraini, il resto del mondo. Si sente parlare da settimane di chi è più bravo e sul pezzo nel comunicare e questa vittoria viene data senza se e senza ma a Zelensky, dimenticando però che questa guerra non sarà decisa da chi è più social o più incisivo nella comunicazione internazionale ma, purtroppo, da ben altri fattori in gioco, a partire dalle perdite civili e militari

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