Ha pure fatto un passo indietro, mettendo i giocatori davanti a tutto. Anche se stesso. “Allenare questa squadra è molto soddisfacente”, si è limitato a dire guardandosi dentro. Quindi la saggezza: “L’ho detto ieri, queste partite non è importante chi le inizia, ma chi le finisce”. E davvero così è andata, dentro quello stadio dove “basta una scintilla”, ipse dixit. Carlo Ancelotti da Reggiolo l’ha rifatto. Come contro il Chelsea, come contro il Paris Saint Germain.

Il Manchester City di Pep Guardiola è la terza corazzata a doversi inchinare al suo Real Madrid che in questa annata di Champions League è una sorta di Ercolino sempre in piedi. E va bene Karim Benzema, sì ok Rodrygo, ma ecco qualcosa conterà pure chi se ne sta in panchina con calma serafica, senza mai agitarsi e andare fuori giri. Neanche al gol di Mahrez che a un quarto d’ora dalla fine aveva il sapore di tre quarti di sentenza su chi sarebbe andato a sfidare il Liverpool in finale a Parigi il 28 maggio, location apparecchiata per la prima vittima di Ancelotti.

E invece ecco i Blancos, ecco Carlo re di Champions che tra poco più di tre settimane avrà la possibilità di superare Zinedine Zidane e Bob Paisley, leggenda Reds, diventando l’allenatore più vincente nella storia della coppa dalle grandi orecchie. Potrebbe alzarla per la quarta volta, dopo quelle del 2003 e del 2007 con il Milan e il successo del 2014 sempre a Madrid. Con le due Coppa Campioni in bacheca da giocatore (1989, 1990) farebbero sei. Tra il record e Ancelotti resta il Liverpool, croce e delizia, quello del tracollo di Istanbul nel 2005 e del successo di Atene due anni più tardi nella rivincita confezionata da Pippo Inzaghi.

Intanto un primo record se lo è messo in tasca, ma è uno di quelli che gli farebbe alzare il sopracciglio, perché è buono per gli almanacchi dei patiti di statistiche: con la finale di Parigi diventa il primo allenatore della storia a giocarsi per cinque volte una Champions. Qualcosa, ecco, vorrà pur dire. Perché poi le partite secche si vincono e si perdono, anche in maniera assurda e rocambolesca, come questa corsa del Real, come quella volta 17 anni fa, ma devi arrivarci. I detrattori diranno che quest’approdo è stato tra i più fortunati della storia. Dimenticano che il Real Madrid ha incrociato Paris Saint Germain, Chelsea, Manchester City nella fase a eliminazione diretta e se la vedrà con il Liverpool in finale.

Con tutto il rispetto, non Lille, Benfica e Villarreal. Insomma, per essere chiari: accoppiamenti peggiori in ogni turno era difficile beccarli. E come il gadget della Galbani che spopolava quando Ancelotti era un bambino, quel trittico lì lo ha preso a pugni ma il suo Real si è rialzato sistematicamente. Con forza, carattere, classe, trascinato dal Santiago Bernabeu. “Per fortuna in finale si parte da 0-0…”, ha detto il tecnico emiliano dopo l’ultima rimonta. Una bella furbata, visto che per quanto visto finora anche se il Liverpool iniziasse avanti 1-0, non avrebbe di che stare tranquillo contro la fame calma che Ancelotti ha infuso nei suoi.

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